Dieci milioni di persone sono minacciate dalla mancanza di cibo, acqua e medicinali nella regione del Corno d’Africa e soprattutto in Somalia, un paese indebolito da anni di guerra civile che ha ridotto il controllo del governo ad una piccola parte del territorio.

Per le organizzazioni umanitarie in queste condizioni diventa difficile operare. Non tanto per l’assenza del governo somalo quanto piuttosto per la sicurezza del personale.
In generale quando un governo centrale non è più un interlocutore o controlla solo una parte del paese, esiste un’autorità de facto con cui le ONG possono trattare. Nel nord della Somalia Medecins sans frontières tratta da anni con le autorità locali,
Questo però non accade nel sud, dove il controllo territoriale è nelle mani dei Shabab, i giovani guerrieri d’ispirazione islamica che si oppongono alla presenza sul loro territorio di organizzazioni occidentali. Così le ONG operano a distanza, attraverso intermediari locali.
Un modo di procedere inadeguato che non permette di valutare i reali bisogni della popolazione e non permette di avere la certezza che gli aiuti giungano a destinazione.

Per questo, di fronte a simili condizioni, molte ONG preferiscono rinunciare a portare il loro sostegno.
Quali soluzioni adottare dunque per liberare l’accesso al sud della Somalia? L’intervento militare contro i Shebab non è un’opzione, in quanto metterebbe la popolazione nel mezzo di un campo di battaglia.
Se non può essere militare, la soluzione al problema deve dunque passare attraverso la politica, con l’intervento attivo dei governi dei paesi colpiti.
Qualcosa in questo senso è già stato fatto. Alcuni gruppi di guerriglieri si sono detti pronti a un compromesso con il governo somalo per permettere il passaggio delle organizzazioni internazionali. Altri gruppi invece sono di parere contrario. Si tratta dei gruppi più radicali, dei quali farebbero parte anche estremisti dello Yemen.

(Redazione/L’Express.fr)