
I nostri media, attenti agli umori del Paese, di questi tempi hanno più volte parlato della “fuga di cervelli”, intendendo con ciò il fatto che giovani neo laureati della nostra Università non trovano possibilità di lavoro con adeguata remunerazione in Ticino e debbono quindi lasciare il Cantone. Realtà che preoccupa.
Vent’anni fa il lancio dell’USI (Università della Svizzera Italiana): un recente ottimo libro del Professor Mauro Baranzini e dello storico Pietro Montorfani ci ha permesso di ripercorrerne le tappe. Il poter avere sul terreno un’università è sicuramente un notevole arricchimento per il tessuto sociale del nostro Cantone. Per il contributo culturale, ma pure per l’origine di incontri, l’accumulo di competenze, la possibilità di ampliare sensibilità e dibattiti, la presenza e l’apporto delle conoscenze di un corpo internazionale di professori.
La nostra sarà sempre una piccola università, non potremmo in alcun modo sostenere un ateneo con decine di migliaia di studenti e migliaia di professori. La notorietà delle piccole università (e di conseguenza della zona di insediamento) dipende dalla capacità di diventare in qualche settore rinomato centro di eccellenza.
Ogni sviluppo della società, anche il migliore, comporta però qualche incomprensione.
Una di queste, almeno così mi è parso da interventi di laureati e famigliari, è l’illusione del “pezzo di carta”. Vale a dire l’errata convinzione che la laurea sia accompagnata dalla sicurezza del posto di lavoro.
Precisiamo subito che gli studi universitari in ogni disciplina debbono dare un’elevata preparazione culturale, sviluppare la curiosità intellettuale e apprendere le vie per riuscire a soddisfarla, aiutare ad approfondire le capacità di analisi e quindi di giudizio ma non hanno il compito di insegnare un mestiere. L’università non è né deve essere un ufficio di collocamento, per contro la reputazione e la serietà della stessa possono dare valore aggiunto alla laurea e l’autorità e la notorietà scientifica dei professori vi contribuiscono.
Il laureato dovrà disporre di quel bagaglio che gli permetterà durante gli anni iniziali di attività lavorativa di apprendere una professione.
Gli studi di medicina non concedono al medico di evitare la corvée di anni di clinica e di assistentato. Parimenti il laureato in giurisprudenza deve fare due anni di pratica per poter presentarsi all’esame di avvocato.
Di conseguenza il primo impegno professionale è quello che metterà in contatto con la vita del lavoro, darà inizio all’accumulo di esperienze, permetterà di orientarsi. Non facciamo gli schizzinosi, quello che conta è avere un’occasione per muovere i primi passi nel mondo delle professioni, poi dopo breve tempo si capirà come indirizzarsi, addirittura se non cambiare orientamento e successivamente ci si potrà proporre sul mercato. Non credo sia sempre opportuno avere l’occasione di compiere questi primi passi nel Ticino.
L’uscire dal Cantone comporta due vantaggi: quello di conoscere altre parti della Svizzera, altre realtà e infine, per chi è rimasto al livello scolastico di conoscenza del tedesco, di imparare la lingua indispensabile (a fianco all’inglese) per operare in Svizzera, se poi si capirà anche lo Schwiizerdütsch, tanto di guadagnato.
A proposito dell’offerta di lavoro non possiamo realisticamente dimenticare le dimensioni dell’economia del nostro Cantone. Le statistiche ci dicono che il numero dei lavoratori medi per azienda non arriva a 5, effetto anche della terziarizzazione. Comprensibile che non tutte le aziende necessitino il laureato, ma spesso un collaboratore più orientato e specializzato professionalmente, ciò che è l’utilissimo compito della SUPSI.
I cervelli fuggiti non sono necessariamente persi per sempre. Innanzitutto carriere fatte all’estero talvolta hanno delle ricadute sulla nostra economia, oltre a fungere da rappresentanza ticinese nel mondo.
Infine, i cervelli potrebbero tornare, questo è il punto sul quale ci dobbiamo impegnare. A suo tempo il Consiglio di Stato, se ben ricordo, fece allestire un elenco dei ticinesi all’estero con posizioni professionali importanti alfine di non perdere il contatto. È da questa via, da questo impegno a mantenere il rapporto e dalle attenzioni che metteremo in atto, quali condizioni di mobilità, di abitabilità, di trattamento fiscale, in una parola di gradevoli attrattive possibilità di vita adeguate alle esigenze di oggi che passa anche la strada per il ritorno in Ticino.
I giovani laureati vadano dove la vita li porta, dobbiamo fare il possibile per lasciare che sviluppino al massimo i loro talenti e soddisfino le loro curiosità, evitare di sacrificarli tarpando loro le ali e per il Ticino l’impegno di fare quanto possibile per ricuperarli, possibilmente e preferibilmente quali imprenditori. Ma qui la politica ha le sue responsabilità.
Non roviniamo però i giovani illudendoli che la vita è una comoda passeggiata sulla porta di casa ma prepariamoli anche alle inevitabili difficoltà che non risparmiano nessuno nel corso dell’esistenza. Ne guadagneranno pure il Cantone e la sua economia.
Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata