FIORENZO DADÒ, oresidente del Partito popolare democratico

” PHILIPP PLEIN, MA NON HA VERGOGNA?

Signor pp, lei ha già guardato una volta in vita sua negli occhi una donna violentata? Non le bastano le pizze e il sushi per ridicolizzarsi? Con che coraggio adesso ci infogna con questa campagna pubblicitaria immonda? È ora che si dica basta a questo signore e ai suoi stracci!

Il Ticino ha bisogno di imprenditori seri, di persone che mettono amore nel loro lavoro, di veri artisti, non di disadattati che pur di farsi notare e vendere le loro cianfrusaglie passano sopra a tutto e tutti.”

* * * *

PHILIPPE PLEIN  “Anziché preoccuparsi dei reali problemi del Cantone sta attaccando un gruppo di successo che non fa altro che pagare le tasse e creare posti di lavoro. Il mio gruppo ha portato più valore al Ticino di quanto lui abbia mai fatto. La nostra campagna per il Black Friday è stata un enorme successo e ha attirato soprattutto donne. Questo vuol dire che pagheremo più tasse al Canton Ticino, quello che tu rappresenti e che ti paga”.

* * * *

La mia opinione? (Questo è il caso del giorno e un’opinione bisogna averla). Facile. Fiorenzo Dadò ha ragione, a una (dico io) condizione: che le sue parole, urlate ad altissima voce, colme di sdegno, di allarme e di condanna, non si riducano a una mera declamazione (sia pure di grande effetto), ma possano realmente aiutare le donne che – “una ogni 72 ore” – vengono barbaramente uccise e, ancora con maggiore frequenza, stuprate.

Io sto con Dadò.

* * * *

A titolo di confronto propongo una sconvolgente immagine, del celebre e idolatrato Oliviero Toscani, che l’azienda Benetton usò in una vasta campagna pubblicitaria. Rappresenta la morte di un malato di AIDS.


The dignity of David Kirby, who lay in a hospital bed dying of AIDS in 1990, is palpable. In his final moments, surrounded by his distraught family, Kirby looks beyond the room, into a world unknown. The now iconic photograph, taken by journalism student Therese Frare and published for the first time in LIFE magazine, quickly became a powerful symbol for the epidemic that had already ravaged millions around the globe.

For some, that dignity was taken away when, two years later, the photograph was branded with the Benetton logo and used in an ad to sell clothes.