Politica

L’Europa che finanzia il Corano mentre dimentica sé stessa

In un’epoca in cui l’Europa affronta una crisi profonda della propria identità, colpita dalla denatalità, da un crescente smarrimento culturale e spirituale, e da un relativismo che minaccia le sue fondamenta, stupisce — anzi, sconcerta — apprendere che quasi 10 milioni di euro di fondi europei siano stati destinati allo studio del Corano in Europa, attraverso un progetto finanziato dal Consiglio Europeo della Ricerca (ERC) e voluto dalla Commissione Europea.

Il progetto, dal titolo “Il Corano europeo”, ha come obiettivo quello di analizzare l’influenza del testo sacro islamico sulla cultura e la religione europea tra il 1150 e il 1850. Si tratta di un lavoro iniziato nel 2019 e che si concluderà nel 2026, coinvolgendo numerose università, tra cui anche l’Università di Napoli L’Orientale.

Ma a quale scopo? Quali sono i criteri scientifici — e soprattutto culturali — alla base di una simile scelta? E perché investire milioni di euro per “valorizzare” il Corano in Europa, mentre l’identità cristiana, le radici greco-romane, la nostra filosofia e teologia vengono ignorate o ridicolizzate?


L’Unione Europea, nata anche sulla spinta della grande tradizione cristiana e umanista, sembra oggi vergognarsi della propria eredità. E così, mentre le nostre chiese si svuotano, i nostri figli ignorano chi siano Agostino, Tommaso d’Aquino, Dante, Pascal o Galileo, mentre i licei abbandonano la filosofia classica e la storia della cristianità, si destinano ingenti fondi pubblici allo studio del Corano.

Che fine ha fatto lo studio delle nostre radici? Perché non finanziare una “Summa Europea” che analizzi l’influenza del Vangelo, della Chiesa e della cultura greco-romana sul diritto, sull’arte, sulla scienza, sull’umanesimo e sulla libertà europea?

È bene ricordare, infatti, che le università stesse furono fondate dalla Chiesa cattolica. Parigi, Bologna, Oxford, Salamanca: furono i luoghi in cui la fede si fece intelligenza, e da cui nacque l’Europa moderna.
Furono i monaci e i chierici a custodire e trasmettere il sapere, a copiare i classici, a salvare il pensiero greco e a tradurlo in un nuovo umanesimo cristiano.
Furono gli scienziati cristiani, spesso sacerdoti o religiosi (come Mendel, Copernico, Lemaître), a gettare le basi della scienza moderna, spinti dall’idea che l’universo fosse ordinato da un Logos, non dal caso.

Il problema non è lo studio di civiltà altre — che può avere un senso, se serio, contestualizzato e neutrale. Il problema è il totale sbilanciamento ideologico.
Negli ultimi anni, l’Unione Europea ha finanziato progetti ambigui, opachi o perfino legati a realtà islamiste. Basti ricordare i 1,7 milioni di euro destinati in passato all’Università islamica di Gaza, fondata da Ahmed Yassin, ideologo di Hamas.
O la recente denuncia della Corte dei Conti europea, che ha segnalato la mancanza di trasparenza nella gestione di 7,4 miliardi di euro dati alle ONG nel periodo 2021–2023.

In questo contesto, non è irragionevole chiedersi: stiamo davvero finanziando la ricerca o una nuova forma di propaganda?
Chi garantisce che questi progetti non siano ispirati da motivi ideologici, piuttosto che da genuino interesse accademico?


Se vogliamo salvare l’Europa dalla dissoluzione, dobbiamo ritrovare l’orgoglio delle nostre radici.
Non si tratta di chiudersi all’altro, ma di non vergognarsi di ciò che siamo. L’incontro tra culture è possibile solo quando ogni civiltà conosce e custodisce sé stessa.
L’Europa ha un’anima: è greca nel pensiero, romana nel diritto, cristiana nel cuore. È da lì che si deve ripartire.

Chiediamo all’Unione Europea: perché non finanziare anche un grande progetto sulle radici cristiane d’Europa? Sulle vite dei santi, sul contributo della Chiesa alla medicina, alla scienza, all’arte, alla libertà?
L’Europa non si salverà con le retoriche multiculturaliste, ma con il coraggio della verità e della memoria.

Liliane Tami

Relatore

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