Vi sono uomini che, più che vivere nel proprio tempo, sembrano affacciarsi all’eternità. Pierre Teilhard de Chardin è uno di questi: gesuita, scienziato, filosofo, ma soprattutto veggente dell’invisibile, profeta di un mondo che ancora anela a nascere.
Nato nel cuore della Francia ottocentesca, in una famiglia dalle radici nobili e profondamente cristiane, Teilhard si innamora sin da giovane della materia: delle pietre, dei fossili, della terra. Ma il suo amore per il creato non si arresta al visibile. Egli cerca, nella trama del mondo, il segreto del divino. E così, tra gli echi delle cattedrali e i silenzi delle scoperte scientifiche, il giovane gesuita si forma nella duplice vocazione del teologo e del paleontologo.

Partecipando agli scavi in Cina, tra le polveri dell’antichità, egli s’immerge nella storia remota dell’uomo. Ma mentre ricompone le ossa dell’“Uomo di Pechino”, il suo sguardo si volge ben oltre il passato: scorge un’umanità in cammino, sospinta da un’energia spirituale segreta, come una freccia lanciata verso l’infinito.
Teilhard non separa mai ciò che Dio ha unito: scienza e fede, carne e spirito, evoluzione e Redenzione. Nel suo capolavoro, Il Fenomeno Umano, disegna una grandiosa sinfonia cosmica in cui l’universo intero — dalle galassie alle cellule, dall’atomo alla coscienza — converge verso un punto finale di unificazione e trasfigurazione: il Punto Omega, che altro non è che Cristo glorioso, il cuore nascosto dell’universo.
Per lui, l’evoluzione non è mera selezione naturale, ma liturgia cosmica, tensione della materia verso lo Spirito, nascita della coscienza e della comunione. E l’uomo, “fenomeno” tra i fenomeni, è l’anello in cui la materia prende coscienza di sé e si protende verso l’Assoluto.
Ma come ogni visionario, Teilhard conobbe l’incomprensione. Le sue tesi — troppo ardite per alcuni, troppo poetiche per altri — vennero accolte con sospetto negli ambienti ecclesiastici. Gli fu impedito di pubblicare molte delle sue opere in vita. Eppure, egli non venne mai meno all’obbedienza. Continuò a scrivere, in silenzio, e a sognare una Chiesa capace di abbracciare l’intero cosmo, di parlare il linguaggio della scienza senza tradire quello della fede.
Morì a New York nel 1955, il giorno di Pasqua. E fu come se il destino stesso avesse voluto suggellare la vita di colui che aveva contemplato, con occhi ardenti, la resurrezione della materia nel Verbo.
Oggi, le sue visioni ritornano a risuonare con nuova forza. In un tempo che cerca faticosamente un senso, la voce di Teilhard ci ricorda che non c’è evoluzione senza elevazione, e che il cammino dell’universo è, in fondo, un pellegrinaggio verso l’Amore.