di Fiorenzo Briccola
Se la Poesia fosse riconosciuta come una vera e propria professione, probabilmente il suo impatto sulla società sarebbe ancora più significativo. La figura del poeta, come artigiano delle parole, potrebbe assumere un ruolo centrale nel promuovere una cultura del dialogo e della comprensione. La poesia ha il potere di unire le persone, di farci riflettere sulle nostre esperienze e di aiutarci a trovare un senso nel caos della vita moderna.
— Oggi, come ieri, troppo spesso, questo ruolo è assunto da cantanti e cantautori, che non hanno affatto in sé il ruolo ontologico e la capacità, per essenza universale e divina, di trascinare o trasportare l’individuo dentro una bellezza che solamente la poesia, attraverso il poeta, ha come ruolo universale. —
Il titolo in questo caso potrebbe essere semplicemente: “Vate Poeta”. L’uomo che ha influenzato il mondo accademico e intellettuale della seconda metà dell’Ottocento e dell’inizio del Novecento; per citarne uno in particolare, e per entrare nella lirica del canto, l’uomo che scrisse… “M’illumino d’immenso”. La sua poesia armoniosa e musicale cerca di far toccare il nostro sublime per dare più senso al verso, o al poema, come un’antifona angelica al tripudio d’amore nella resurrezione del Cristo.
Ungaretti si lamentava spesso che le parole che usava per scrivere i suoi versi non erano mai sufficienti, un po’ evanescenti come il vapore che fugge via e si disperde nel cielo; ma con Mallarmé, ecco che il miracolo si compie all’orizzonte, perché se Mosè non riesce a entrare nella terra promessa, Lui, invece, ne diventa la musa per molti aspiranti poeti che, come Giuseppe Ungaretti, trovano compimento e ragione per scrivere poemi e, così, entrare a pieno titolo e merito nell’Empireo o Olimpo della poesia contemporanea.
Se leggiamo la poesia del sommo poeta, capiamo benissimo, senza tanti fronzoli, che il poema scorre dall’inizio alla fine con una certa grazia o come una danza (Boléro di Ravel), e che ogni movimento è studiato per rendere accessibile a tutti quanti con semplicità la bellezza del movimento, in questo caso diremmo del verso. E se l’angoscia che ogni amore comporta prima del compimento amoroso, anche se in questo caso il dolore è nascosto ma vivo, perché il poeta ti porta dentro il susseguirsi dei versi per comunicarti un’emozione, un pensiero, nell’atto del saper soffrire per amore, ma cercando di illuminare con maestà quel momento tanto aggraziato che ne è la quinta essenza dell’amore per giungere alla piena passione dell’innamoramento.
Apparizione
La luna s’attristava. Serafini piangenti,
L’archetto alzato, in sogno, dalle viole morenti
Traevan, nella calma di vaporosi fiori,
Bianchi singhiozzi a petali dagli azzurri pallori.
– Era quel santo giorno del nostro primo bacio.
La fantasia, martirio cui da sempre soggiaccio,
S’inebriava sapiente al profumo di tristezza
Che pur senza rimpianto lascia e senza amarezza
La vendemmia d’un sogno al cuore che l’ha colto.
Dunque erravo, alle vecchie pietre l’occhio raccolto,
Quando per via, col sole sui capelli splendente,
E nella sera, tu m’apparisti ridente,
Ed io vidi la fata dal cappuccio di luce
Che un tempo sui miei sonni di fanciullo felice
Già passava, lasciando, dalle sue mani belle,
Nevicar bianchi fiori di profumate stelle.
Stéphane Mallarmé
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