di Fabio Traverso
L’amore non corrisposto tra lo scrittore e poeta Cesare Pavese e l’attrice americana Constance Dowling può essere frettolosamente rubricato nello stereotipo della relazione male assortita tra un uomo intelligente ma introverso e impacciato e una donna bellissima ma frivola e superficiale, un luogo comune talmente radicatosi nell’immaginario collettivo da aver condotto a format televisivi; è lecito al contrario trarre da questi eventi conclusioni meno scontate.

Lo scrittore piemontese conobbe la Dowling a casa di amici la sera del capodanno del 1949, approfondendone però la conoscenza qualche tempo dopo , nel marzo del 1950 (“sei la vita e la morte , sei venuta di marzo sulla terra nuda” scriverà poi Pavese , e trascorrendo con lei una vacanza a Cervinia, successivamente “Connie” come era chiamata dagli amici l’attrice, decise di metter fine alla loro conoscenza e tornare negli Stati Uniti per affermarsi nel mondo del cinema americano dopo aver recitato in diversi film italiani nell’immediato dopoguerra.
Sconvolto lo scrittore le indirizzò diverse lettere (restate tutte senza risposta) confessandole con accenti accorati e struggenti il suo amore (“ti amo, di questa parola so tutto il peso l’orrore e la meraviglia , eppure te la dico” ) e le dedicò quello che resta il vertice della sua opera poetica, la raccolta di poesie “verrà la morte e avrà i tuoi occhi” dove gli occhi evocati sono naturalmente quelli della bella Connie.
Com’è noto lo scrittore piemontese si tolse la vita in un una camera d’albergo a Torino scrivendo su un biglietto di commiato “non fate pettegolezzi”.
Vicende come quella di Pavese solitamente offrono il destro ai retori per sconsigliare di invaghirsi di persone belle e privilegiare nella scelta dei propri compagni di vita fattori come l’intelligenza che non sono effimeri come la bellezza.

Ciò può apparire saggio ma in ultima analisi è contro la natura umana: ci si innamora della bellezza e non dell’intelligenza perché, piaccia o meno , soltanto la prima suscita emozioni , allo stesso modo per cui ci si emoziona per la contemplazione della “malinconia “ di Hayez e non per la lettura della “critica della ragion pura” di Kant. Tale scomoda verità la si può comprendere guardando , a settant’anni di distanza , le foto che ci sono rimaste di Connie che ci restituiscono una bellezza struggente, uno sguardo intensissimo tale da toccare le corde più intime dell’animo umano, aldilà del fattore puramente estetico.
Vi sarebbe poi da sindacare sul fatto che anche l’intelligenza sia meno effimera della bellezza: vi sono menti brillanti e profonde devastate dalla malattia degenerativa, allo stesso modo con cui il tempo si accanisce sulla bellezza.

Tutto è effimero come dimostra il destino di Constance Dowling: negli Stati Uniti non riuscì a sfondare nel cinema holliwodiano nel quale non riuscì ad ottenere che ruoli in B-movie horror o fantascientifici finendo a sua volta per morire suicida per eccesso di barbiturici come l’uomo che l’amava: alla fine la morte ha avuto gli occhi della bella Connie.
“scenderemo nel gorgo muti” scrive Pavese nel suo capolavoro e , in questa discesa, talnto vale essere allietati dalla Bellezza.
