Mangione è detenuto al Metropolitan Detention Center di Brooklyn dal suo arresto in un McDonald’s di Altoona, in Pennsylvania, il 9 dicembre. I suoi avvocati gli hanno aperto un sito web e ha ricevuto grandissima solidarietà.

La storia che emerge riguardo a Luigi Mangione, accusato dell’omicidio del CEO di UnitedHealthcare, Brian Thompson, ha scosso profondamente l’opinione pubblica americana. Un atto di violenza che ha rivelato le fratture profonde in un sistema sanitario sempre più percepito come ingiusto e disumano, dove le disparità economiche e l’indifferenza delle politiche assicurative sembrano aver raggiunto il loro apice. Mangione, un uomo che molti vedono come simbolo di una ribellione estreme, ha scatenato una discussione su temi tanto scottanti quanto urgenti: il diritto alla salute, l’etica delle assicurazioni e il malcontento che da anni pervade il sistema sanitario statunitense.

“Sono sopraffatto e grato a tutti coloro che mi hanno scritto per condividere le loro storie ed esprimere il loro sostegno”, ha detto Mangione.

Il grido di un popolo senza speranza

La tragedia che ha colpito il CEO di UnitedHealthcare non è solo la fine di una vita umana, ma rappresenta un simbolo doloroso del malcontento di milioni di americani che quotidianamente lottano per ricevere cure mediche. Gli Stati Uniti, nazione che si vanta della sua avanzata tecnologia e dei suoi progressi scientifici, sono anche la patria di una realtà paradossale: milioni di cittadini, purtroppo, rimangono privi delle necessarie cure, vittime di un sistema assicurativo che sembra prioritizzare i profitti rispetto al valore della vita umana.

Le assicurazioni sociali, vere e proprie entità finanziare che dovrebbero garantire la salute dei cittadini, troppo spesso si trasformano in barriere invisibili, creando un abisso tra coloro che possono permettersi il lusso di essere curati e quelli che non riescono ad accedere neppure a una diagnosi. Brian Thompson, al vertice di un colosso come UnitedHealthcare, rappresentava il volto di un sistema che, nelle sue contraddizioni, è diventato nemico della vita stessa, preferendo la logica del guadagno a quella della cura universale.

La violenza come sintomo di un sistema malato

Nonostante l’indignazione che un atto del genere provoca, è importante chiedersi se non vi sia un sottile legame tra la disperazione di Luigi Mangione e le violenze invisibili inflitte a coloro che non riescono ad accedere a un sistema sanitario equo. Migliaia di persone si sono schierate al fianco di Mangione, non per giustificare la violenza, ma per sottolineare la necessità di un cambiamento radicale nel modo in cui la medicina viene concepita e distribuita.

Le persone hanno visto in Mangione, forse erroneamente, un vendicatore di un popolo che da anni si sente ignorato, abbandonato. Gli avvocati che lo hanno difeso hanno ricevuto ingenti somme di denaro—300.000 dollari—da parte di chi lo sostiene, un gesto che, seppur contorto, esprime la frustrazione e la richiesta di un riscatto che non si trova nel sistema esistente. In molti vedono in lui un simbolo di una resistenza che, sebbene spinta ai margini della violenza, è alimentata da un bisogno di giustizia sociale che non è stato mai soddisfatto.

La medicina come diritto universale

Nel cuore di questa crisi, una verità fondamentale sembra essere messa da parte: la medicina dovrebbe essere un diritto di tutti, non un privilegio per pochi. Le parole di Cristo, che ci invita ad amare il prossimo come noi stessi, trovano una profonda eco in questa battaglia per una sanità che non discrimini, che non faccia delle persone povere cittadini di seconda classe.

La cura non può essere subordinata a un conto in banca. La salute, nel nome della misericordia divina, deve essere accessibile a chiunque, senza distinzioni, senza barriere, senza esclusioni. In un mondo che si definisce avanzato, dove la scienza ha fatto miracoli e la tecnologia ha aperto porte che sembravano sigillate, non è possibile accettare che la vita di una persona, la sua dignità, venga sacrificata sull’altare della finanza.

Il caso di Luigi Mangione, per quanto drammatico e tragico, solleva la questione cruciale di una medicina che è diventata prigioniera di un sistema che ha dimenticato la sua missione principale: curare, salvare, soccorrere. Non è più possibile voltare lo sguardo, come se nulla accadesse. La medicina deve tornare a essere, innanzitutto, un atto di amore.

Il grido di dolore che nasce dalla sofferenza di coloro che sono esclusi dal diritto alla salute non può essere ignorato. Le mani degli uomini di buona volontà devono sollevarsi in difesa dei più deboli, dei più vulnerabili. La medicina, come Cristo stesso ci ha insegnato, non è una merce da barattare, ma un bene da offrire gratuitamente, un diritto sacro, che nessun essere umano dovrebbe essere privato.

In un mondo che continua a far ricorso alla logica del profitto, ricordiamo che la salute è un dono che appartiene a tutti, e la cura dovrebbe essere un atto di giustizia divina, che non conosce confini di classe, di reddito, di razza. Solo così, forse, potremo fare un passo avanti, verso un futuro in cui nessuno dovrà mai sentirsi solo nel proprio dolore, e tutti avranno accesso alla cura che solo la misericordia di Dio, attraverso le mani dei medici, può offrire.

Liliane Tami