Liliane Tami – Bioeticista e manager sanitario
Nel fluire incessante del tempo, l’ingegno umano ha saputo tessere trame luminose d’innovazione, innalzando la medicina a vette un tempo inimmaginabili. L’arte della cura si è adornata di strumenti avveniristici, capaci di riscrivere il destino di chi anela al sollievo. E così, i robot infermieri, il Mouth Pad per i tetraplegici e gli Oculus per la riabilitazione si sono fatti alfieri di una rivoluzione sanitaria importantissima, dove la speranza prende forma attraverso la scienza. Tuttavia, in questo vortice di progresso, occorre interrogarsi sui confini di una tecnica che, se priva di misura, rischia di offuscare l’essenza più autentica dell’arte medica: la sacralità del contatto umano.
Le meraviglie della tecnica dischiudono orizzonti che il pensiero antico appena osava sognare. I robot infermieri, instancabili custodi della notte ospedaliera, si muovono con precisione ineguagliabile, dispensando cure e attenzioni senza errore né fatica. Il Mouth Pad, un prodigio dell’ingegno moderno, restituisce ai tetraplegici una parvenza di libertà, permettendo loro di dialogare con il mondo attraverso movimenti impercettibili della loro lingua. Gli Oculus, varchi aperti verso dimensioni terapeutiche inedite, offrono un rifugio contro il dolore, avvolgendo i pazienti in esperienze immersive capaci di lenire i dolori del corpo
Ma se la scienza avanza priva di saggezza, rischia di mutarsi in un meccanismo freddo e impersonale, dove il malato diviene mero dato, cifra anonima in un sistema privo di cuore. Può una macchina cogliere il tremore di una mano in cerca di conforto? Può un algoritmo sostituire lo sguardo carico di speranza che un’infermiera porge a chi soffre? Nella fredda perfezione dell’automazione si cela il pericolo di un’umanità smarrita, orfana di quel calore che nessuna intelligenza artificiale potrà mai replicare.
La medicina non è mera somma di conoscenze, ma un’arte sublime che si nutre di empatia e ascolto. Chat GPT potrà dare alcune diagnosi, ma non potrà mai avere la visione d’insieme data da un bravo medico. Un medico dalla visione olistica non si limita a prescrivere rimedi, bensì legge nell’animo del paziente, ne coglie le paure e le speranze, intrecciando terapia e compassione. Il tocco lieve di un’infermiera, il sorriso che accarezza il dolore, la voce che placa l’angoscia: questi sono i gesti che nessuna macchina potrà mai riprodurre, perché nati dal cuore e non dal silicio.
Il domani della medicina si scrive nell’equilibrio tra innovazione e calore umano. La tecnologia deve ergersi a strumento, non a sovrano, lasciando che la scienza illumini il cammino senza eclissare l’anima. Solo così potremo costruire un sistema sanitario in cui le meraviglie del progresso si intreccino con la grazia dell’empatia data dalla carità, dando vita a una medicina che non solo guarisca il corpo, ma accarezzi anche lo spirito.
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