Primo piano

Le prigioni in Svizzera: Reportage e riflessioni sul carcere di Lugano.

In questo articolo viene descritta una visita al carcere di Lugano, La Stampa, e vi sono alcune riflessioni sull’importanza del reinserimento professionale dei carcerati.

Di Liliane Tami

Per scrivere questo reportage ho avuto la malsana idea di recarmi alle prigioni a piedi perché i mezzi di trasporto pubblico sono scarsi. Ho rischiato di farmi investire tre volte dai camion, siccome il penitenziario cantonale si trova nel fondovalle di una zona industriale dove non esistono né strade pedonali né marciapiedi. Dopo aver respirato i miasmi delle officine ed aver strisciato contro alle pareti delle fabbriche rumorose, facendomi il Segno della Croce per non farmi schiacciare dai tir, il carcere svizzero mi è sembrato decisamente ospitale e sicuro. All’ingresso mi è stato chiesto il documento – già inviato in anticipo- e ho dovuto attraversare un metal detector, come negli aeroporti.  Quando la mia borsetta è passata sotto ai raggi X mi sono vergognata per il disordine che conteneva. Per Grazia di Dio indossavo un reggiseno senza ferretti – castissimo- che non ha suonato al metal detector, quindi non sono stata messa nel camerino dello spoglio per fare la perquisizione.

Uno dei gestori del carcere, con la sua tenuta scura, mi ha quindi accompagnata su per le scale del grandissimo edificio spiegandomi che in realtà non è capiente come sembra: i muri grossi e indistruttibili e l’area interna per i camminamenti occupano moltissimo spazio. Ho notato che, varcata ogni porta, la chiudeva con attenzione e mi ha spiegato l’importanza delle misure anti-incendio. In un luogo simile l’attenzione per ogni minimo dettaglio è importantissima: ce ne va della vita di centinaia di persone. Mi ha portato a visitare i piani, dove vi erano cancelli e celle dalle porte blindate, spiegandomi la differenza tra la Farera, il carcere giudiziario, a regime più duro, la Stampa, il carcere penale, e lo Stampino, che si trova a un centinaio di metri di distanza e che è la sezione aperta in cui i detenuti godono di un po’ più di libertà.  In totale vi sono 250 detenuti. Ad un certo punto, forse al secondo piano, ci siamo imbattuti in uno stendino pieno di calzini colorati e tute da ginnastica in stile “ Maranza”, poi ho visto una giovane detenuta, in t-shirt e tuta da ginnastica, che trasportava un cesto di biancheria accompagnata da una guardia donna, con la divisa verde  e nera e le scarpe grosse, ma col viso gentile e sorridente. Attualmente vi sono detenute circa 20 donne. Il responsabile che mi stava accompagnando, vedendomi stupita per la biancheria stesa tra le porte blindate, mi spiegò che i detenuti sono responsabili della pulizia della loro cella e dei loro abiti e che inoltre hanno il diritto di vestirsi coi loro vestiti. L’imporre una divisa ai carcerati, dal punto di vista psicologico, può non essere un bene perché rischia di ledere troppo all’immagine che la persona ha di sé stessa. Particolarmente toccante è stata la visita alla sala coi computer, nell’area per i detenuti – provvisoriamente perché poi affidati a foyer ed istituti- minorenni: sopra ai computer vi erano anche dei disegni colorati con la pittura a tempera. Il gestore mi ha spiegato che, purtroppo, in quelle stanze vi sono passati anche ragazzi di soli 14 anni.

 Molto interessante è il tema della scolarizzazione e del reinserimento professionale dei carcerati: all’interno della Stampa, infatti, vi sono 13 opifici e i detenuti hanno la possibilità di conseguire un apprendistato cantonale, della durata di due anni, che consente loro di  trovare lavoro nella società. Qui vi sono una falegnameria, una cucina, una legatoria e una stamperia, luoghi preziosi per guidare le persone verso ad una vita onesta. Nelle prigioni è data anche la possibilità di conseguire un diploma di quarta media, grazie alle lezioni tenute da alcuni professori delle scuole medie cantonali. Per i detenuti stranieri le formazioni conseguite presso ad un carcere svizzero sono molto utili, perché consentono loro di tornare nei loro paesicon un attestato professionale di valore.  In media il 30% dei detenuti sono svizzeri e il 70% sono stranieri, e della totalità solo il 10-5 % sono donne. Il numero dei detenuti stranieri è oggettivamente alto, ed è importante che restino qui perché vi è la certezza della pena. In molti altri paesi i reati perseguiti qui in Svizzera non sono considerati tali e non sempre vi è la garanzia che le persone condannate vadano in prigione, pertanto è importante che restino nel nostro paese affinchè possa essere messa in atto la giustizia.

Sono entrata in una cella dai muri bianchi e col muretto del WC coperto di piastrelline bianche: era abbastanza carina e io con gli scout ho dormito in bunker ben peggiori. In pochi passi l’ho attraversata: misurava 12 metri quadrati. Il guardiano che mi accompagnava mi ha spiegato che alla Stampa le celle misurano 8 metri quadrati ma le dimensioni ridotte sono compensate però dal fatto che i detenuti hanno più tempo per le uscite. Qui alla Farera, dove vi è il regime più duro, vi sono dei camminamenti circondati da sbarre, dove le persone possono passeggiare, e nella sezione della Stampa hanno un cortile con l’erba dove possono anche giocare a calcetto. Sporgendomi da una finestra ho visto gli uomini fumare delle sigarette e passeggiare sul prato spelacchiato e, guardandoli, non potevo che chiedermi cosa li avesse condotti lì. Ad un certo punto, accompagnato dalle guardie ( due donne belle, muscolose ed austere con la loro divisa ) passò vicino a me un uomo con una lacrima nera tatuata sotto all’occhio e i miei pensieri andarono subito a Caino, che si macchiò dell’uccisione del proprio fratello.

Il guardiano che mi accompagnava, allora, mi spiegò  che tutte le domeniche Fra Michele Ravetta, un frate del Convento del Bigorio, celebra un Santa Messa nella cappelletta del carcere. Molti vanno a Messa solo per passare un po’il tempo, ma qualcuno, forse, riesce davvero a trovare nella Fede quei valori positivi in grado di indirizzarlo,  per sempre, verso ad una vita migliore. Qui a Lugano vi è stato persino il caso di un detenuto che, dal carcere, si è messo a studiare religione alla Facoltà di Teologia di Lugano: che questa conversione possa essere d’esempio a tutti coloro che cercano, nel cristianesimo che insegna l’amore, una vita non solo conforme alla legge, ma anche piena di senso e di bene autentico.

Inoltre sul sito della Repubblica e del Canton Ticino è possibile anche candidarsi per diventare agente di custodia. Il 22 gennaio 2025, per gli interessati, vi sarà una serata informativa. Per ulteriori informazioni accedere al link sottostante.

https://www4.ti.ch/di/dg/strutture-carcerarie/scuola-agenti-di-custodia/scuola-agenti-di-custodia

Con la supervisione di Stefano Laffranchini – Direttore delle strutture carcerarie cantonali

Relatore

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