Cultura

La paura di rimanere soli può essere una malattia: che cosa è e come si cura l’anuptafobia

di Nicola Schulz Bizzozzero-Crivelli, curatore della rubrica Hic et Nunc che si occupa di psicologia, sanità e psicopatologia, e della Prof.ssa Donatella Marazziti

Sono diverse le motivazioni che possono portare una persona a decidere di rimanere da sola per tutta la vita, di alternare momenti in relazione ad altri di solitudine oppure di condividere la propria esistenza con un partner. Vi sono teorie che affermano che l’amore è (anche) questione di fortuna, per altre invece costruire la relazione duratura che si desidera è un merito, fatto di lavoro personale su sé stessi. C’è chi però ha un vero e proprio terrore di essere single, tanto da essere affetto da una vera e propria patologia, che prende il nome di anuptafobia, che lo porta a cercare ad ogni costo una relazione, anche disfunzionale, e ha conseguenze su tutti gli ambiti della vita quotidiana, come spiega Nicola Schulz.

In psicologia la paura della solitudine affettiva prende il nome di anuptafobia, che deriva dal latino anupte (non sposato) e dal greco phobos (paura). Chi soffre di questa condizione prova un forte disagio all’idea di non avere un partner stabile, interpretando la condizione di singletudine come un fallimento personale o una condizione inaccettabile. Non si tratta, sottolinea Nicola Schulz, semplicemente del desiderio di essere in una relazione, per molti legittimo, ma di un’ansia patologica e debilitante associata all’essere soli, che può avere varie cause e va affrontata in terapia per migliorare la qualità di vita generale.

Il contesto sociale: single per scelta o per motivi esterni

Se decenni fa, soprattutto per le donne, veniva ritenuto impensabile essere single, la società è sicuramente mutata negli anni, con un aumento, per fattori sociali e economici, di persone che vivono da sole, di famiglie monoparentali, di unioni, che siano matrimoni o convivenze, che si interrompono, anche in presenza di figli. Una maggior consapevolezza e l’evoluzione del ruolo sociale della donna stanno portato a una minor tendenza a accontentarsi in caso di rapporti non soddisfacenti. Anche per chi non ha anuptafobia, la preferenza tra una vita in relazione e una sola dipende sicuramente da vari fattori, tra cui l’ambiente sociale, il temperamento, le esperienze passate. Ma, se vari studi evidenziano come, attenuatasi (ma non scomparsi) finalmente i pregiudizi verso chi preferisce rimanere solo, diverse persone prediligano non avere delle relazioni, in nome soprattutto della libertà e della voglia di poter far carriera, altri sottolineano come il timore di restare soli esista ancora. Ad esempio, un lavoro recente dell’Università di Toronto afferma che le donne preferiscono godersi la singletudine più a lungo degli uomini. Per contro, però, nel 2023 il Rapporto Italia Eurispes, dopo che l’Istat ha evidenziato che in Italia i single sono il 33,2%, una percentuale più alta rispetto alle famiglie (31,2%), ha spiegato che solo un terzo di chi è solo ne è felice, mentre il 60% ritiene l’essere single la conseguenza di diversi fattori, tra cui lo stress e l’insicurezza lavorativa, e vorrebbe avere una relazione.

Nicola Schulz spiega che l’anuptafobia porta a relazioni disfunzionali

Chi soffre di anuptafobia vede la felicità unicamente nella vita di coppia, che ricerca ossessivamente. L’idea di rimanere single è una paura persistente e genera un’ansia sproporzionata rispetto alla situazione reale, portando la persona a entrare in relazioni insoddisfacenti o tossiche pur di evitare la solitudine (si pensi a quelle con un narcisista, ad esempio). L’ossessione per le relazioni fa sì che si abbia la tendenza a idealizzare la vita di coppia, portando però per contro, dati i sentimenti di inadeguatezza e l’essere focalizzati sulla ricerca di un partner, all’isolamento sociale. L’anuptafobia, oltre a causare sintomi ansiosi che impattano sul benessere generale, ha una influenza importante anche sulle relazioni stesse, non solamente su quelle sentimentali. Infatti, la paura di restare soli può portare a tollerare dinamiche tossiche o violente pur di mantenere una storia, con lo sviluppo di rapporti disfunzionali, mentre l’ossessione per le storie sentimentali può portare a trascurare altre forme di socialità o supporto emotivo, come amicizie e relazioni familiari. Infatti, fa notare Nicola Schulz, una volta trovato un potenziale partner, il soggetto anuptafobico può diventarne dipendente emotivo.

La paura di restare soli fa sentire soli, inadeguati e ansiosi

Chi soffre di anuptafobia ha sintomi legati in particolare al tema relazioni, come ansia o panico all’idea di rimanere single, sentimenti di solitudine, disperazione o vuoto, paura costante del giudizio degli altri, ma può vivere anche situazioni di malessere più generale, con sintomi legati all’ansia, tachicardia, sudorazione, tremori durante episodi d’ansia. Secondo quanto riportato da Nicola Schulz, potrebbe sviluppare problematiche a livello comportamentale quali la ricerca compulsiva di un partner, anche in situazioni inappropriate, la difficoltà a terminare relazioni insoddisfacenti o dannose e l’idealizzazione eccessiva della vita di coppia.

Le radici dell’anuptafobia in psicologia: dalle relazioni coi caregivers a quelle sentimentali

Il disturbo non va confuso con un generico timore di non trovare l’anima gemella, con il desiderio legittimo di essere in coppia o con altre dinamiche che portano a storie poco funzionali che sono difficili da terminare. La paura della solitudine affettiva va però riconosciuta e trattata, partendo dalle sue cause. Da dove deriva l’anuptafobia? Lo spiega Nicola Schulz. Essa può venire da una combinazione di fattori psicologici, sociali e culturali, affondando le sue radici sia nelle relazioni vissute dal soggetto durante la sua infanzia sia da quelle sentimentali successive. Tra le cause più comuni ci sono infatti esperienze passate, dove i traumi emotivi, come abbandoni o rifiuti nelle relazioni precedenti, possono contribuire a sviluppare una paura di restare soli, e ansia da attaccamento, con stili di attaccamento insicuro sviluppati durante l’infanzia che possono influenzare la percezione delle relazioni da adulti, portando a una forte dipendenza emotiva dagli altri. Non sono estranee per Nicola Schulz nella psicologia di chi teme di restare solo le pressioni sociali e culturali, dato che in alcune società, essere single può essere visto come uno stigma o una condizione indesiderabile, anche se come detto nel tempo questo fattore si sta attenuando. Le persone con una scarsa fiducia in sé stesse possono temere di non essere mai abbastanza per attrarre o mantenere un partner, quindi anche la mancanza di autostima può essere alla base del disturbo.

Come si tratta la paura di restare single in terapia?

Come molti disturbi psicologici, è necessario affrontare la patologia con una terapia. Gli approcci più indicati all’antuptafobia per Nicola Schulz sono quello cognitivo-comportamentale (CBT), quello psicodinamico ed uno focalizzato sulle emozioni. Nel primo caso, il terapeuta lavora per aiutare a identificare e modificare i pensieri irrazionali legati alla paura della solitudine, nel secondo si esplorano le radici profonde della paura, spesso legate a esperienze infantili o traumi passati. Se ci si focalizza sulle emozioni, si lavora sulle insicurezze emotive e sugli schemi relazionali disfunzionali. Se sono presenti sintomi ansiosi, è utile utilizzare delle tecniche di gestione dell’ansia, come pratiche di mindfulness e rilassamento ed esercizi di respirazione per ridurre l’ansia. Al contempo, in psicologia serve sviluppare l’autostima e la promozione della consapevolezza di sé e delle proprie risorse personali. Il soggetto viene incoraggiato a coltivare interessi e relazioni al di fuori dell’ambito sentimentale e anche a cercare il supporto sociale attraverso la partecipazione a gruppi di auto-aiuto o comunità di supporto e il rafforzamento delle amicizie e delle relazioni familiari.

Su cosa punta la psicologia per uscire dall’antuptafobia

Per superare il disturbo è dunque necessario per Nicola Schulz scoprire le origini della paura di rimanere soli, ma anche cambiare la propria convinzione che la felicità derivi solo dalla presenza, ad ogni costo, di un partner. L’autostima e la consapevolezza che l’amore ha varie forme, che ci arricchiscono quotidianamente, da quello, fondamentale, per sé stessi a quelli per famiglia, figli, amici, per i propri hobby o per il proprio lavoro, sono importantissime per affrontare in modo più funzionale anche le relazioni sentimentali.

Nicola Schulz Bizzozzero Crivelli, Department of Medical and Experimental Medicine, Section of Psychiatry and Department of Neurosciences, Section of psychiatry, University of Pisa. Degree in Psychology, Degree in Science of Tourism, Degree in Political Science and International Relations, and Master in Criminology. Ending the specialization in Clinical and Dynamic Psychology. Assistant of psychiatrist Donatella Marazziti, a psychopharmacologist, and Medical Director of the Azienda Ospedaliera Pisana (AOU) and Professor at the University of Pisa, Pisa, Italy, and at the Unicamillus University of Rome, Italy.

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Relatore

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