a cura di Fabio Traverso
Hanno provocato scalpore le recenti esternazione del presidente Usa in pectore Donald Trump che ha dichiarato di “non escludere” interventi militari volti a estendere l’influenza americana sulla Groenlandia, attualmente territorio danese.
Si tratta indubbiamente di dichiarazioni avventate , non solo perché poco rispettose della diplomazia e delle guarentigie internazionali, , ma anche perché è tutt’altro da “escludere” che tra i ghiacci della Groenlandia gli USA rischierebbero di subire, dopo il Vietnam e l’Afganistan , un ennesimo scacco militare , a dispetto dell’apparente sproporzione delle forze in campo.
Trump è l’ennesimo Presidente Usa che nella propria biografia non può vantare alcuna esperienza militare: nato nel 1946 ed abile all’arruolamento evitò la partecipazione alla guerra nel Vietnam in quanto studente universitario , cosa un tempo inimmaginabile considerato il fatto che negli Usa il Presidente è il “Chief Commander” , il Comandante in capo delle Forze Armate, e prestare servizio militare era considerato, per le elites provenienti dalle università dell’est , una tappa imprescindibile del proprio cursus honorum fino appunto agli anni sessanta/settanta del 900.
Un breve excursus storico dal secondo dopoguerra ad oggi varrà a chiarire queste considerazioni ; Harry Truman, primo presidente Usa dopo la seconda guerra mondiale, è stato ufficiale al fronte nel conflitto 1914.1918, Dwight Eisenhauer fu, com’è noto, comandante in capo delle truppe alleate nel corso della seconda guerra mondiale , JF Kennedy combattè valorosamente sempre sul Pacifico meritandosi una medaglia, e parimenti ebbero un’esperienza al fronte Jonhson e Nixon (quest’ultimo in quanto quacchero avrebbe potuto evitare l’arruolamento in base alle leggi americane) .
Tuttavia nel corso degli anni sessanta del xx secolo cominciò a verificarsi una tendenza antitetica: mentre le giovani elites della generazione precedente come si è visto si sentivano in dovere di partecipare allo sforzo bellico recandosi personalmente al fronte gli esponenti della nuova upper class iniziarono invece a sottrarsi a questo sforzo, recandosi all’estero o usufruendo dei rinvii al servizio militare previsti dalla frequenza agli studi universitari, la guerra del Vietnam venne sostenuta essenzialmente dalle classi popolari, i colletti blu descritti da Cimino nel “Cacciatore” , di fatto spaccando la coesione della società americana: il paragone storico con il declino del patriziato rimando nella tarda antichità è, forse, scontato, ma calzante .
Anche due tra i presidenti sostanzialmente meno carismatici del dopoguerra, Ford e Carter, ebbero comunque esperienze militari mentre Ronald Reagan rappresenteò un caso a se : riformato alla leva ebbe comunque modo di arruolarsi nella guardia nazionale, pur trascorrendo il periodo del secondo conflitto mondiale all’interno del territorio statunitense.
George Bush senior , nato nel 1924, ebbe al pari di Kennedy un’esperienza in prima linea al fronte rappresentando di fatto l’ultimo caso d Presidente degli Stati Uniti ad avere un’esperienza diretta della guerra: dopo di lui infatti il caso di Clinton rappresenta l’approdo ai vertici della società americana della generazione degli espatriati, i ventenni benestanti che scelsero di sottrarsi alla partecipazione dello sforzo bellico americano nel Vietnam e delle successive guerre, caratteristica che accomuna dal 1992 in poi tutti i presidenti Usa , repubblicani o democratici che siano, lo stesso George Bush junior trascorse il periodo della guerra del Vietnam in patria nei ranghi della guardia nazionale del Texas: di fatto dal 1992 in poi quella americana piuttosto che una democrazia rappresenta un’oligarchia nella quale le responsabilità più gravose come appunto la partecipazione alle guerre viene scaricata sulle classi più povere.
Questa caratteristica biografica esercita un effetto di non poco conto sul sentimento nazionale: per affrontare psicologicamente la prova di un conflitto armato una nazione deve essere e autorappresentarsi come un unico organo naturale, come nel celebre monologo di Menenio Agrippa: tale non è il caso dell’america attuale per cui non si vede per quale motivo un sottoproletario ispanoamericano debba essere entusiasta di morire sui ghiacci artici per favorire gli affari di Trump o Musk.
Al contrario, nel caso di una guerra in Groenlandia le forze speciali danesi , complice la vicinanza geografica potrebbe effettuare efficaci blitz sulla costa atlantica americana che potrebbero deprimere l’opinione pubblica USA e determinare l’ennesimo scacco militare alle mire degli Stati Uniti
Riflettano Trump e i suoi improvvidi consiglieri: per l’America di oggi la via della pace è ben più conveniente di quella della guerra.
F.T.
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