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Il suicidio assistito nel Regno Unito: perché la vita va difesa e promossa

Il dibattito sul suicidio assistito torna ad accendersi nel Regno Unito, alimentando posizioni polarizzate e un crescendo di richieste per legalizzare questa pratica. Il valore della vita umana dovrebbe però restare inviolabile e non negoziabile, e ogni tentativo di legittimare l’eutanasia o il suicidio assistito rischia di svalutare la dignità umana e la sacralità della vita stessa. In passato a Sparta, a Roma e presso i vichinghi i bambini malati venivano uccisi o esposti alle intemperie: vogliamo forse tornare ad uno stato di barbarie in cui gli le persone deboli e malate e ritenute inutili vengono spietatamente uccise?

Un contesto delicato

Nel Regno Unito, la pratica del suicidio assistito è attualmente illegale. La legge, attraverso il Suicide Act del 1961, vieta qualsiasi forma di assistenza al suicidio, con pene che possono arrivare fino a 14 anni di reclusione. Nonostante ciò, gruppi pro-eutanasia continuano a spingere per un cambiamento legislativo, presentando storie di sofferenza e di fragilità che meritano compassione e attenzione, ma che non possono giustificare la soppressione della vita come “soluzione”.

La Chiesa cattolica, attraverso il suo magistero e la dottrina sociale, ribadisce con forza che ogni vita, indipendentemente dalla malattia, dalla sofferenza o dall’età, è preziosa e deve essere custodita. Ogni individuo è creato a immagine e somiglianza di Dio, e questo conferisce un valore intrinseco che nessuna circostanza può togliere.

Perché dire “no” all’eutanasia e al suicidio assistito?

  1. La sofferenza non toglie valore alla vita
    La sofferenza è una delle dimensioni più difficili dell’esperienza umana, ma può diventare occasione di amore, solidarietà e crescita spirituale. La tradizione cristiana ci insegna che la sofferenza, pur non voluta, può essere offerta e vissuta in comunione con Cristo sofferente. Come ha detto San Giovanni Paolo II, “La sofferenza umana evoca compassione, richiama rispetto e, al tempo stesso, intimorisce”. La soluzione alla sofferenza non è l’eliminazione della vita, ma l’accompagnamento amorevole.
  2. La deriva etica della cultura dello scarto
    Legalizzare il suicidio assistito significherebbe avallare la logica della “cultura dello scarto”, dove la vita fragile, malata o anziana viene considerata inutile. Come sottolineato da Papa Francesco, viviamo in una società che spesso marginalizza chi non è produttivo, dimenticando che ogni vita ha un valore incommensurabile. L’introduzione del suicidio assistito potrebbe facilmente trasformarsi in una pressione silenziosa verso le persone più vulnerabili affinché scelgano la morte per “non essere di peso”.
  3. L’effetto sui medici e sulla cura
    I medici, per vocazione e per codice etico, sono chiamati a prendersi cura della vita e a lenire il dolore, non a sopprimere i pazienti. Introdurre il suicidio assistito rischia di stravolgere il ruolo del medico, trasformandolo da custode della vita a esecutore della morte. Questo cambio di paradigma potrebbe minare la fiducia nel sistema sanitario, allontanando la medicina dalla sua autentica missione di cura.
  4. L’alternativa: le cure palliative
    La risposta alla sofferenza e alla paura di una morte dolorosa risiede nelle cure palliative, che accompagnano il malato con dignità, alleviando il dolore fisico e offrendo sostegno psicologico e spirituale. La società deve investire di più in questo ambito, assicurando che nessuno sia lasciato solo. Ogni persona merita di essere circondata da affetto, ascolto e cure adeguate fino all’ultimo respiro.

Valorizzare la vita fino alla fine

La posizione cattolica non è cieca alla sofferenza né sorda al dolore. Al contrario, la Chiesa invita a guardare alla vita nella sua interezza, riconoscendo la bellezza e il valore di ogni istante vissuto. La vera compassione non sta nell’“aiutare a morire”, ma nell’accompagnare chi soffre con amore e rispetto, mostrando che ogni vita merita di essere vissuta fino in fondo.

Il suicidio assistito, seppur spesso dipinto come un gesto di “libertà individuale”, finisce per negare la relazione umana più profonda: quella dell’amore che si dona e accompagna. Come disse Madre Teresa di Calcutta: “È bello vedere la dignità con cui i malati terminali possono vivere, se circondati dall’amore e dalle cure di cui hanno bisogno”. La risposta alla sofferenza è la solidarietà, non la morte.

Conclusione

Di fronte alle richieste di legalizzazione del suicidio assistito, è doveroso riflettere su quale tipo di società vogliamo costruire. Una società che difende la vita, in tutte le sue fasi, è una società più umana, più giusta e più amorevole. Dire “no” al suicidio assistito significa scegliere di stare dalla parte della vita, della speranza e dell’amore, anche nelle situazioni più difficili.

“Ogni vita è un dono e merita di essere accolta, custodita e accompagnata. L’amore sa prendersi cura anche nelle prove più dure, trasformando la sofferenza in un mistero di speranza e redenzione.”

Relatore

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