Il 6 dicembre 1992 il popolo respingeva con strettissimo margine l’adesione della Svizzera allo Spazio Economico Europeo, anticamera dell’UE. Il governo accolse con costernazione quel verdetto e il consigliere federale Delamuraz non esitò a parlare di dimanche noir.
Come abbia celebrato ieri l’UDC quel suo successo sofferto e fondamentale, lo sapete tutti.

Ma ascoltiamo per par condicio anche il Partito comunista
Un parlamento fermo al 1992
Il siparietto messo in atto dall’UDC in Consiglio nazionale è una pagliacciata irrispettosa delle istituzioni, ma qualificare – come ha fatto un deputato del PSS – di “fascista” chi canta l’inno nazionale è altrettanto inopportuno, così come paragonare l’Ucraina golpista e guerrafondaia alla Russia.
I nostri consiglieri nazionali, al posto di guardare indietro al 1992 e arroccarsi su una votazione di 25 anni fa, dovrebbero finalmente ripensare da zero le relazioni internazionali della Svizzera, accettando finalmente che il sistema atlantico è in crisi e che il futuro si trova nell’area economica euroasiatica e nel progetto di Nuova Via della Seta. E questo non l’ha capito né la sinistra europeista né la destra nazionalista.