24 luglio 1944 – 24 luglio 2024.
Era un oggi di ottant’anni fa. Un giovane veniva strappato dal Mulino dei suoi padri.
Le valli del Fuso ancora languivano della strage di civili che l’operazione nazista denominata Wallenstein I (30 giugno-7 luglio) aveva recentemente compiuto.
Le ceneri ancora svolazzavano tetre su Moragnano e Rusino, gli antichi borghi incendiati dai tedeschi.
Lui, Farina Albertino, si era dato alla macchia. In foto solo recentemente rinvenute, risalenti a solo due mesi prima dalla tragedia, all’aprile del ‘44, appare bello, vigoroso, ardente di vita e di speranza, mentre brinda con gli amici fuggiaschi nei boschi, sul monte Verola.
Il luglio era torrido. La strage sembrava passata.
Albertino era tornato, dalla mamma Severina, dal padre Mentore, dalla sorellina Anita.
Arrivò la camionetta in folle, scesero i nazisti, lo arrestarono. Un tradimento, una spia, uno scambio?
Domande la cui risposta è nella tomba di qualcuno, o di nessuno, forse.
Dall’alto del Mulino, il leone di pietra, dal benedicente severo sguardo pagano antropomorfo, posto come fausta pietra angolare da mano ignota tre secoli prima sull’antica Via dei Linari, guardava, silente e impotente.
Per Albertino era l’estate dei suoi ventun anni, un ragazzino oggigiorno, invece la vita di allora aveva già fatto di lui un uomo: autiere presso il Regio Esercito a Milano, soldato in Valtellina, fuggito dopo l’8 settembre del 1943, in bicicletta tra gli spari.
Iniziava così la via crucis del giovane soldato, autiere, ribelle, mugnaio, divenuto prigioniero. Internato militare italiano? Prigioniero politico? Deportato civile? Tante vite, in una sola vita.
Il convoglio procedeva tra il dolore, la fame, il terrore.
Wiesbaden, Wesermünde, Starlsund.
Luoghi che emergono da lettere bagnate di lacrime.
Poi la liberazione, il ritorno, la morte.
Quando Albertino ritornò, chissà se il leone di pietra splendeva nella luce indorata del sole morente d’agosto del 1945.
Ci sono morti rapide e ci sono morti lente e insensate, che possono durare anni, fino a che la fiamma di gioventù si perde nel vento.
Ci sono vite vissute completamente durante la guerra: 1922-1949.
Ventisette anni. Anzi, ventisei e mezzo.
Ci sono dolori che travalicano il tempo.
Perché ancora oggi, le ultime testimoni, che all’epoca erano sognanti fanciulle e che oggi sono vegliarde dallo sguardo perso, quando parlano di lui, Farina Alberto, detto Bertino, s’illuminano nel volto e i loro occhi s’incendiano e le loro guance raggrinzite arrossiscono ancora.
Dov’è la bellezza, il canto, la gioventù?
La guerra spegne tutto questo.
Eppure, nel nostro piccolo, oggi, possiamo ancora rendere giustizia a un’immane ingiustizia.
Come lo spettacolo dedicato a Farina Alberto “Non dormiremo più nei boschi”, tenutosi a Vezzano il 6 luglio, nel corso del Festival “L’Ombra del Fuso”, commemorativo dell’eccidio nazista; come l’inaugurazione della targa in suo onore al Museo Storico della Resistenza di Sasso, avvenuta il 7 luglio, alla presenza di Sindaco, Alpini, Carabinieri e banda musicale.
Una ricerca che ancora non ha fine, un dialogo che non avrà mai fine.
***
La notte tra il 30 giugno e il 1° luglio furono deportate 2500 persone, di cui 1100 nei campi di lavoro forzato della Germania nazista. Tra il 18 e il 29 luglio i tedeschi ammazzarono circa 60 uomini, aprendo così l’operazione Wallenstein II, nelle valli del Taro e del Ceno.
In totale, durante le tre operazioni Wallenstein (30 giugno – 7 agosto, dalla Cisa al Montefiorino) furono uccise 156 persone, di cui 70 appartenenti a forze partigiane, e 1.798 deportate. Farina Alberto era tra costoro. Secondo Gabriele Hammermann furono circa 50 mila i morti italiani nei campi di lavoro forzato: essi venivano nutriti ogni venti ore con una brodaglia di rape o, talvolta, con 500 grammi di patate. Il drastico numero di endemi da fame, portò alla morte dei prigionieri, anche a liberazione avvenuta.
Anche se dal 1996 la Corte costituzionale federale tedesca ha permesso agli ex lavoratori coatti di adire individualmente le vie legali contro le ditte tedesche responsabili della prigionia, nel 2001 il giurista incaricato dal ministero delle Finanze della Germania, ha ritenuto priva di fondamento la richiesta di risarcimento da parte degli Internati militari italiani.
Sotto, le foto degli eventi menzionati:
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