Nelle segrete del Castello di San Leo, in Romagna, c’è una cella angusta, dalla quale, attraverso le grate, l’occhio si perde nell’assolato Montefeltro.
Il campanile romanico della bella pieve, i campi bruciati dal sole e l’incessante fischiare del vento.
Questa fu l’ultima immagine concessa a colui che aveva varcato le più scintillanti corti d’Europa. L’illustre e temuto prigioniero, vi fu calato nel 1791 attraverso una cesta, cosicché non potesse fuggire da alcuna porta. Le guardie, lo sorvegliarono da uno spioncino o dalla botola soprastante: temevano potesse ipnotizzarle. Quando morì, di lui non rimase neppure il corpo: si diceva fosse scomparso, grazie ai suoi poteri alchemici.
Massone, avventuriero, “amico dell’Umanità”, prigioniero del Sant’Uffizio, stiamo parlando di Cagliostro, il cui vero nome fu Giuseppe Balsamo.
Prima di morire in carcere, a cinquantadue anni, scrisse:
Facile scendere, difficile salire
I misteri son chiari e son scuri
Chi segue le ombre può avere
La chiave che serve a incontrare
Presenze che da queste stanze
Lo portano ancora a viaggiare
Nacque a Palermo, Giuseppe, il 2 giugno del 1743, dal mercate Pietro Balsamo e da Felicita Bracconieri. Nel 1768 sposò, a venticinque anni, la quattordicenne Lorenza Feliciani, nota per la sua bellezza.
Giacomo Casanova, convalescente dopo una terribile pleurite,incontrò i due coniugi ad Aix-en-Provence, un anno dopo il loro matrimonio.
I coniugi Balsamo tornavano da un faticoso pellegrinaggio a San Giacomo di Campostela in Galizia, dove erano giunti a piedi e vivendo di elemosine; si erano fermati nella cittadina provenzale per rifocillarsi e riprendere il cammino verso Torino, dove avrebbero visitato il Santo Sudario.
Eppure, secondo Casanova, come racconta nel capitolo CXXX dell’Histoire de ma vie “dovevano essere persone di alto rango perché arrivando in città avevano distribuito abbondanti elemosine” ma Casanova commenta anche “dovevano essere due fanatici o due bricconi”.
Alla testa di un’improvvisata delegazione italiana, Casanova fece la conoscenza della coppia, trovando Felicita “affranta dalla fatica” e “sprofondata in una poltrona” con tra le mani “un crocifisso di metallo giallo”, mentre Cagliostro “occupato ad attaccare conchiglie al suo mantello di tela cerata”.
Casanova ritenne la moglie di Cagliostro “singolarmente interessante per la giovane età che dimostrava, per la sua rara bellezza velata da una espressione di strana malinconia” e scrivendo che il suo volto “rivelava la nobiltà, la modestia, l’ingenuità, la dolcezza, e quel pudore timido che dà tanta grazia alle giovani donne. […] quantunque non ce ne fosse bisogno perché la sua bella parlata lo rivelava a sufficienza, mi disse che era romana”.
Agli occhi di Casanova, invece, Cagliostro “dimostrava ventiquattro o venticinque anni, era basso, ma ben fatto: sula faccia, quasi spettrale, aveva i tratti dell’arditezza, della sfrontatezza, del sarcasmo e della bricconeria […] mi parve napoletano o siciliano.”
Casanova continua: “[Cagliostro] mi chiese se volevo salire a colazione con loro e se preferivo che essi scendessero da me. Sarebbe stato scortese rispondergli: né l’uno né l’altro. gli dissi che mi avrebbero fatto piacere se fossero discesi”. Qui Cagliostro mostrò a Casanova la sua perizia nel copiare i chiaroscuri d’autore, mostrandogli una copia d Rembrandt, “più bella, se possibile, dell’originale”.
Come dobbiamo interpretare quest’incontro? Come la propensione per la religione, da parte di Caglostro e della sua giovane consorte? Come la sua abilità nel copiare incisioni? Attraverso l’alchimia, forse?
Casanova incontrò Cagliostro una seconda volta, dieci anni dopo, quando ormai il conte di Balsamo aveva assunto il suo altisonante nome. Era a Venezia, e la sua fama era ormai alle stelle.
Cagliostro fu accolto dalle più sfarzose corti d’Europa: Londra, Parigi, San Pietroburgo, Varsavia, Strasburgo, Bordeaux, Lione, Versailles.
Versailles, patria dei desideri e della corruzione: qui, Cagliostro fu coinvolto dal Cardinale Rohan nell’”affare della collana”.
Londra, sede della massoneria e della cospirazione: qui, Cagliostro fondò nel 1776 una loggia di Rito Egiziano, chiamata “La Speranza”, assumendo così il titolo di “Gran Cofto”, stringendo solide amicizie anche coi borghesi inglesi che sostenevano di propugnare le idee di tolleranza religiosa e i segreti dei cavalieri templari. Alla Loggia potevano appartenere sia uomini sia donne e Lorenza, moglie di Cagliostro, divenuta “Serafina”, assunse il titolo di “Regina di Saba”:
Per la verità, all’epoca, diversi esponenti della letteratura o della politica erano massoni, ma Cagliostro sfidò apertamente la Chiesa.
Nel fraternizzare massonico, Cagliostro aveva probabilmente intravisto un canale di promozione e legittimazione sociale, con il quale non interferiva né la provenienza territoriale, né il ceto sociale. Nel 1784 ebbe l’occasione di partecipare al convegno dei Philaléthes, un’associazione massonica-esoterica, ma arrivò a costringerli a non indagare sulle origini della Libera Muratoria, e fondò invece la loggia egiziana Isis, con una solenne cerimonia a cui presero parte ecclesiastici, nobili e militari. L’evento – scandalosamente in contrasto con la Chiesa dogmatica – fece sì che la massoneria di Cagliostro fosse interpretata come un qualcosa di privato, come una setta.
Forse, se la difesa di Cagliostro fosse stata condotta cercando di avvalorarne idee e dottrine, oggi il personaggio non avrebbe fama di ciarlatano e mallevadore.
L’affare della collana aveva spianato la strada alla Rivoluzione Francese, cavalcando le calunnie alla monarchia; il 1789 vedeva l’Europa esplodere sotto il rosso del berretto frigio e del sangue dei nobili, ma anche la parabola fulgida di Cagliostro discendere rapidamente: il Sant’Uffizio non tardò a colpirlo e lo trasse in arresto il 27 dicembre dello stesso anno.
Casanova, che nel 1755 aveva subito la stessa persecuzione da parte dell’Inquisizione, a causa del suo modus vivendi, considerato libertino e epicureo, che era riuscito a fuggire dalla terribile reclusione dei Piombi, dopo solo quindici mesi e che solo diciotto anni dopo, nel 1774, aveva ottenuto il permesso di rientrare a Venezia, Casanova, dunque, fece da guida a Cagliostro e a Lorenza (divenuta Serafina), mettendo in guardia l’amico dal Tribunale di Roma. Invano. Caglostro volle comunque recarsi a Roma e, dieci anni più tardi, fu arrestato.
Sottoposto a un duro processo conclusosi solo nel 1790, Cagliostro fu condannato a morte, per eresia e attività sediziose, con la distruzione, nella pubblica piazza, dei manoscritti e degli strumenti massonici.
Cagliostro però abiurò pubblicamente la sua dottrina, e Papa Pio VI commutò la condanna a morte nel carcere a vita, proprio nell’inaccessibile fortezza marchigiana-romagnola di San Leo.
Prima, fu alloggiato nella “cella del Tesoro”, la più tetra delle prigioni della fortezza. Poi, per scagionare una possibile fuga di cui si vociferava, fu deciso, da parte del conte Semproni – responsabile della prigionia di Cagliostro di trasferirlo nella “cella del Pozzetto”.
Nell’Archivio di Stato di Pesaro è ancora presente la documentazione circa la sua prigionia, da alcune lettere del conte Sempronio Semproni, governatore e castellano di San Leo, al Cardinale De Zelada, l’una datata 12 maggio 1791: (“sul proposito della barba, assicuro l’Eminenza vostra di avere di già ben avvertito quel tale soldato, che lo serve di barba, che stia ben guardingo, se mai tentasse di volontariamente ferirsi, il che per altro non pare credibile, essendo questi un Uomo più amante del suo individuo più di qualunque altro, e che teme al sommo di morire […]” e un’altra datata 14 settembre 1491: “non si è posto nella carcere del Pozzetto se non che l di lui letto, con vaso da orinare, una sedia, ed il trecantone fissato nel muro per uso di tavola per mangiare […]”.
Dopo quattro anni di prigionia, il 26 agosto del 1795, Cagliostro si spense per un colpo apoplettico. Secondo alcune leggende, l’avventuriero sarebbe scomparso grazie ai suoi poteri alchemici.
A lui Alexandre Dumas dedicò un romanzo, Mémoire d’un médecin, che ha inizio proprio con la scena di un rito massonico.
Ed è proprio la massoneria a rendere immortale Cagliostro: nell’anticamera della sua cella, sembra quasi normale trovare targhe commemorative anche molto recenti. Esse recitano:
“Grande oriente d’Italia, Palazzo Giustiniani”: Affinché il Libero Pensiero possa trionfare sulle tirannie sempre. I Fratelli della R L Tradizione e Scienza 1123 Oriente di Roma” Il Maestro Venerabile, Franco Bruni.
San Leo, 5 aprile 2024
O, ancora: “Libertà, Uguaglianza, Fratellanza”: Massoneria Universale di Rito Scozzese Antico ed Accettato. Gran Loggia d’Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori” Obbedienza di Piazza Del Gesù Palazzo Vitelleschi”. In occasione dell’anniversario della morte del Fr. Giuseppe Balsamo Conte di Cagliostro, I Fratelli e le Sorelle della R L Giuseppe Papini – Enrico Santoro, donano al Sindaco Leonardo Bindi,
Roma, San Leo 26 agosto 2022, Il Maestro Venerabile fr. Michelangelo Procopio.
Entrambe le targhe riportano quello che Cagliostro scrisse di sé:
Io non son di nessuna epoca e di nessun luogo,
al di fuori del tempo e dello spazio il mio essere spirituale vive la sua eterna esistenza e se mi immergo nel mio pensero, io divento colui che desidero.