Soldati 127 cCaro Francesco,

Sfogliando, nel disperato e probabilmente inutile tentativo di metter ordine, la montagna di carte e cartacce che mi sta soffocando ho ritrovato e riletto con rinnovato interesse e piacere il breve saggio sulla prima guerra mondiale del nostro amico Avv. Franco Gianoni. È uno scritto frutto di lunghe e meditate letture, un riassunto tanto succinto quanto esaustivo, volto a render comprensibile anche ai semplici curiosi come noi gli errori, le supputazioni sbagliate e i viscerali pregiudizi dei primi responsabili di una guerra che si è risolta in un inutile bagno di sangue e in montagne di indicibili sofferenze  per decine e decine di milioni di povere vittime vanamente sacrificate. Raramente mi è capitato di poter capire, da poche pagine, vicende tanto complesse.

Lo scritto è troppo lungo per la pubblicazione su un quotidiano, ma sarebbe un errore imperdonabile  lasciarlo nel classico e polveroso cassetto. Raccomando a te la pubblicazione nel tuo portale e ai tuoi lettori di non tralasciare questo saggio, sicuramente più istruttivo, grazie al lavoro di messa a fuoco dell’autore, della lettura di decine di libri o dell’ascolto delle (troppe)  conferenze e trasmissioni radiofoniche e televisive che hanno costellato il centenario dell’inizio della “Grande Guerra”.

Gianfranco Soldati

Gianoni  yChi esamina, sia pure a grandi linee, la storia universale relativa agli anni 1914-1918, non può non chiedersi come mai il conflitto che ha dominato quegli anni non sia entrato nel subcosciente collettivo, al punto che le stupende canzoni che ha generato vengono cantate senza suscitare il ricordo delle loro origini, a differenza di quanto accade, ad esempio, per quelle dell’epopea del Far-West.

Certamente, a causa della grande crisi del 1929, prima e della Seconda Guerra Mondiale, poi; ma anche perché si è voluto inconsciamente dimenticare lo stupore, l’orrore e il dolore dominanti quei quattro anni, immergendosi negli “anni folli” dello “swing” e del “foxtrot”, chi poteva. Solo la celebrazione del Centenario ha riportato alla memoria individuale e collettiva quella epica guerra.

Eppure quella guerra ha cambiato tutto in tutto il Mondo, dando origine ad una nuova epoca, analoga alla scoperta dell’America, con conseguenze ancora più profonde e generali, poiché:

• ha strappato dai loro villaggi legioni di giovani africani e asiatici, quasi tutti analfabeti e totalmente ignari delle discordie e delle lotte delle Potenze europee, per mandarli sistematicamente in prima linea (“carne da cannone”), nell’intento di risparmiare il “sangue prezioso” dei Bianchi. Significativa, a questo proposito, è l’affermazione fatta al Senato dal presidente del governo francese, Georges Clemenceau (detto il “Tigre”, considerato il “padre della vittoria”) il 18 febbraio 1918: “Preferisco che periscano dieci Coloniali piuttosto che un Bianco” ;

• ha trasformato la natura del combattimento armato da guerra settoriale e di movimento secondo la concezione napoleonica, in guerra di posizione e di distruzione generale a seguito dell’introduzione delle nuove armi: la mitragliatrice, l’artiglieria a colpi rapidi, il lanciafiamme, il gas, il sottomarino, il dirigibile e l’aeroplano;

• ha coinvolto il commercio, l’industria e la popolazione civile, soppiantando la tradizionale distinzione tra fronte di combattimento e fronte interiore;

• ha introdotto direttamente nello sforzo bellico le donne: al fronte quali infermiere e nell’economia, in particolare quali operaie nelle fabbriche di armi e munizioni, “le munizionette” come venivano chiamate, emancipandole di fatto, tanto è vero che, più di una volta, hanno scioperato e sono scese in piazza per protestare contro la carenza di viveri e per chiedere la sospensione immediata delle ostilità; in Francia hanno ottenuto l’introduzione della settimana inglese per fare la spesa, diventata sempre più laboriosa a causa delle interminabili code e ha contribuito ovunque alla diffusione del “taylorismo” (la scomposizione e la parcellazione del lavoro per renderlo più facile, meno pesante e più redditizio) e da allora il movimento di emancipazione non si è più arrestato fino alla (quasi) parità reale con gli uomini, in Occidente;

• ha modificato radicalmente i rapporti tra Stato e società civile;

• ha spostato interi gruppi etnici, riducendoli alla miseria (simboleggiati da un nuovo personaggio “il rifugiato”, errante con pochi stracci sulle spalle), oppure sterminandoli in parte o in tutto; si pensi, ad esempio, al genocidio armeno, il primo del XX secolo: quasi un milione e mezzo di persone di ogni età spinte dal governo turco nel deserto per essere trucidate o per morire di sete e di fame;

• ha distrutto quattro imperi (russo, germanico, austro-ungarico e ottomano) e l’imperialismo degli Stati democratici europei, dando origine a uno nuovo: quello economico e finanziario degli Stati Uniti, grazie al sistema ideato dagli Alleati per amministrare i reciproci debiti di guerra: “il pool dollaro-sterlina”;

• ha contribuito in modo determinante alla vittoria della rivoluzione bolscevica (in particolare, i tedeschi hanno inviato Lenin da Zurigo a Pietroburgo, appositamente per fomentare la rivoluzione nell’intento di estenderla come si è estesa all’esercito, suscitando ammutinamenti ovunque si combatteva, al punto di provocare l’armistizio, il 16 dicembre 1917, sfociato nel duro trattato di pace di Brest Litovsk, il 3 marzo 1918, in pratica, la vittoria dei tedeschi sul fronte Est, rimettendoli in sella sugli altri fronti;

• ha creato le condizioni della rivolta di tutte le colonie, a proposito della quale merita citare John Morrow, anche perché attesta l’intensità del generale sconvolgimento finanche nelle mentalità: “La partecipazione delle truppe africane e asiatiche al massacro dei Bianchi, la loro possibilità, fino a quel momento inimmaginabile, di contatto con le donne Bianche e la scoperta del sindacato e dello sciopero, sconvolgendo le frontiere immaginarie separanti la metropoli dalla colonia, hanno distrutto il privilegio dell’autorità coloniale di stabilire essa sola la rappresentanza del Potere imposto ai suoi soggetti”;

• in definitiva, ha creato un nuovo Mondo, non più guidato dall’Europa e una nuova concezione della vita, la “Weltanschaung”, individuale e collettiva.

Tutto questo spiega perché questa guerra, ancora oggi, nonostante la gravità della Seconda è chiamata “la Grande Guerra”.

Ma l’esame storico riserva una seconda sorpresa che è un paradosso: nessun governante la voleva o, più precisamente, tutti pensavano che sarebbe stata solo locale e breve, come quelle che l’avevano preceduta (tra Francia e Germania 1870/71; tra Russia e Giappone 1904/1905 e le due balcaniche, 1912/1913). Lo stesso Guglielmo II, il bellicoso Imperatore germanico (il “Kaiser” per antonomasia), dopo la risposta conciliante della Serbia all’ultimatum austro-ungarico del 23 luglio 1014, annotò nel suo diario: “È più di quanto si poteva sperare. Una grande vittoria per Vienna”, per cui la guerra non si giustificava più. Eloquente è pure il fatto che la Francia laicista non ha voluto nel “Governo di Unione nazionale ”un rappresentante del pur forte partito cattolico, pensando di poterne fare a meno, inizialmente; il conflitto lo ha però trasformato in “Unione sacra” includente tutta la Nazione. Allora, come mai è successa ?

La Serbia, piccola potenza, non bastandole l’estensione del suo territorio grazie alle Guerre balcaniche, aveva assunto un atteggiamento aggressivo verso l’Impero austro-ungarico, sperando di farlo scoppiare, per poi espandersi maggiormente, tanto è vero che il generale Conrad von Hötzendorf, capo dello Stato maggiore dell’Impero, con l’appoggio del collega germanico generalissimo Helmuth Moltke (il giovane), a più riprese aveva insistito per la Guerra preventiva nell’intento di sbarazzarsi del pericoloso vicino, ciò che l’ottantaquattrenne pacifista imperatore Francesco Giuseppe, la cui vita era stata una successione di disgrazie familiari e politiche, non ha mai voluto. Ma l’attentato di Sarajevo del 28 giugno 1914, nel quale perirono l’arciduca Ferdinando Francesco, erede al trono, e sua moglie, fu l’occasione sperata dagli Stati Maggiori per farla finita con il bellicoso serbo. Comunque si trattava di un problema circoscritto, tutto sommato non grave, da risolvere localmente e soltanto tra le due parti contendenti.

Dopo non pochi tentennamenti Vienna il 23 luglio, ottenuto l’accordo della Germania sua alleata, intimò l’ultimatum alla Serbia, accordo che le fu dato con la convinzione che la Russia (alleata della Serbia e considerata da tutti invincibile dopo l’esperienza di Napoleone), avrebbe reagito solo con qualche ritorsione; comprensibilmente, perché lo zar Nicola II, persona mistica tutta dedita alla famiglia, era contro la guerra pensando, sono le sue stesse parole, “alle migliaia e migliaia di persone che sarebbero state inviate alla morte”; dello stesso parere, inizialmente, era anche il suo ministro degli Esteri, Serguei Suzonov. Altra fatale errata valutazione dei tedeschi: il Regno Unito, governato da Hebert Asqueth (un pacifista come lo era la City e, in generale, il mondo economico e finanziario), oltretutto potente in mare, ma con una armata di terra poco più che coloniale, non sarebbe intervenuto tanto più che aveva già parecchi problemi con l’Irlanda.

Pochi giorni prima però, il Presidente della Repubblica francese Raymond Poincaré, che si trovava in visita ufficiale a Mosca, in un toast abituale, esclamò: La Serbia ha buonissimi amici in Russia, la Russia è alleata alla Francia. Non vi è quindi nulla da temere”. A seguito di questa incauta pubblica dichiarazione, la Russia, sicura dell’appoggio della Francia, senza consultarla, il 24 luglio dichiarò la mobilitazione di quattro distretti militari e il 30 luglio (il giorno seguente l’inizio delle ostilità da parte dell’esercito austro-ungarico contro la Serbia), quella generale, nonostante la diffida del Cancelliere germanico Bethmann-Hollweg di attendere, diversamente anche il suo Impero avrebbe dovuto mobilitare, ciò che avrebbe reso ineluttabile la guerra. Avendo ricevuto risposta negativa, i due Imperi Centrali il 1° agosto 1914 alle 17 dichiararono la guerra alla Russia, estendendola, due giorni dopo, alla Francia, la quale, alleata della Russia, aveva pure mobilitato. A sua volta, il Regno Unito, alleato della Francia, tre giorni dopo, dichiarò la guerra alla Germania e, il 9 agosto, all’Austria-Ungheria. Così, in pochi giorni, tutte le Grandi Potenze europee (a parte l’Italia che scese in campo con gli Alleati solo il 23 maggio 1915), erano in guerra. Poi entrò in funzione la diplomazia, tramite la quale ogni parte belligerante cercò alleanze e sostegni in tutto il Mondo promettendo compensi territoriali con la vittoria.

Tra gli Stati extraeuropei, il Giappone si schierò subito con gli Alleati, nella speranza di ottenere le colonie tedesche in Cina, mentre l’Impero ottomano, dopo aver proclamato la neutralità poiché temeva la Russia, convintosi che, in definitiva, le Potenze centrali avrebbero vinto, all’inizio di novembre permise che due corrazzate tedesche, destinate all’Impero, che già portavano nomi turchi, bombardassero navi russe nel mar Nero, a seguito di che gli Alleati gli dichiararono la guerra. Per contro, gli Stati Uniti esitarono a lungo prima di prendere posizione militarmente a favore degli Alleati: infatti, il presidente Woodrow Wilson, già il 4 agosto 1914, proclamò la completa neutralità; per questo nel 1916 egli venne rieletto trionfalmente e, per ben tre anni la non belligeranza venne mantenuta. Era l’applicazione della dottrina di non ingerenza, sancita nel 1823, dal presidente Monroe, nell’intento di impedire che i continenti americani venissero colonizzati dalle Potenze europee (quale contropartita gli Stati Uniti rinunciavano a ingerirsi nelle loro lotte). Inoltre voleva evitare conflitti interni, probabili data la natura multietnica della popolazione americana non ancora amalgamata. Vi erano però anche due altri motivi: il Presidente (figlio di un pastore sudista, profondamente religioso, si credeva investito di una missione messianica), memore della guerra di indipendenza contro il Regno Unito e avversando l’imperialismo coloniale delle Potenze europee, le riteneva tutte responsabili del conflitto; in secondo luogo, sin dall’inizio, pensava di creare una organizzazione internazionale tale da garantire la sicurezza collettiva in sostituzione del “buon volere” delle Grandi Potenze europee, per cui riteneva necessario non prendere parte né per l’uno né per l’altro belligerante, nella speranza di avere maggior autorità su tutti alla fine del conflitto (disegno ufficializzato solo nei famosi 14 punti facenti parte del discorso al Congresso dell’8 gennaio 1918). Però la guerra sottomarina ad oltranza, ossia senza distinzione tra belligeranti e neutri, scatenata dalla Germania per tentare di forzare il blocco creato dagli alleati, in particolare il siluramento del “Lusitania” nel quale perirono diversi cittadini americani, la caduta dello zar in Russia creando il rischio di una superpotenza germanica in Europa, l’uso del gas da parte dei tedeschi e il famoso “telegramma Zimmermann” (sottosegretario degli Affari esteri), con il quale la Germania sollecitava il Messico a dichiarare la guerra agli Stati Uniti dietro compenso di alcuni Stati del Sud Est americano, ruppero ogni indugio e il 6 aprile 1917 il Congresso dichiarò la guerra alle Potenze centrali proprio nel momento più cruciale (l’imminente disfatta della Russia), salvando così gli Alleati, i quali senza il soccorso russo già alla fine dell’estate 1914, poi nel 1915, indi con l’offensiva del generale Broussilov nel 1916, avrebbero perso la guerra (come non pensare alla “Battaglia di Stalingrado” della Seconda Guerra Mondiale!).

Scatenato il conflitto, per i tedeschi era vitale e urgente sconfiggere la Francia con un attacco brutale e una rapida progressione, per poi aggredire la Russia, in applicazione del “piano Schlieffen” e tutto (compreso il timore degli ambienti militari dei due Imperi Centrali di una futura superiorità degli eserciti degli Alleati, specie della Russia), sarebbe stato risolto entro Natale 1914. Urgente appunto perché il tempo avrebbe consentito alla Francia e alla Russia di organizzarsi meglio e di più, al Regno Unito di potenziare il suo debole esercito terrestre e, probabilmente, indotto gli Stati Uniti a intervenire al loro fianco. Ciò spiega la fulminea “battaglia della Marna” dal 6 al 12 settembre 1914, che consentì ai tedeschi di giungere, in pochi giorni, alle porte di Parigi. I francesi, infatti, rimasti alla concezione napo-leonica della guerra (la cavalleria e gli assalti della fanteria, dimenticando l’insegnamento di Karl von Clausewitz, il più grande teorico della Guerra, secondo cui la difesa prevale sull’offesa, ciò che non esclude il combattimento, modificandone solo la forma), subirono gravissime perdite sotto il fuoco delle mitragliatrici e dell’artiglieria a colpi rapidi. Comunque l’offensiva venne contenuta e quella battaglia impose la guerra di posizione carattrerizzata dalla ”trincea”, assurta a macabro simbolo delle successive battaglie con esito favorevole ora dell’una ora dell’altra parte, prolungando il conflitto oltre ogni previsione, come saggiamente aveva previsto il grande uomo politico socialista democratico e pacifista, Jean Juarès, assassinato il 31 luglio 1914, un giorno prima della dichiarazione di guerra alla Russia da parte dei due Imperi Centrali.

Tra le tante battaglie terrificanti (in Italia la parola “Caporetto” è entrata nel linguaggio comune quale sinonimo di cocente disfatta), quella di “Verdun” (dal 21 gennaio all’11 luglio 1916) è emblematica. Questo perché nessun altro suolo di nessun altro paese è intriso di sangue umano come quel lembo di terra e in nessuna altra battaglia le condizioni ambientali furono così spaventose. Appunto per questo le compagnie rimanevano in linea solo 15 giorni poi venivano sostituite, cosicché quasi tutta l’Armata francese vi combattè. Non per nulla sul monumento dei caduti, prima della costruzione dell’ossario, vi era la scritta: “Chiunque tu sia viandante entra e saluta a bassa voce i Resti degli Eroi caduti per la tua salvezza”, che richiama quella del sobrio monumento alle Termopili: ”Viandante, se vai a Sparta racconta laggiù che ci hai visto giacere qui, affinché la Patria sia salva”. Quella battaglia (480 a. C.), ove perì con tutti i suoi militi il leggendario re Leonida I, è assurta a mito: il martirio per la Libertà dell’Occidente. Dopo “Verdun”, il Kaiser, deluso perché la Francia non venne sconfitta, tolse il comando supremo al maresciallo Falkenhayn per affidarlo al giovane brillante generale Ludendorff, distintosi nella “battaglia del Tannenberg” (impressionante vittoria dei tedeschi sulla Russia svoltasi dal 26 al 30 agosto 1914), affiancato dallo scialbo maresciallo Hindenburg, decisione che avrà gravi conseguenze sia durante sia dopo la fine del conflitto. Dalla parte francese si impose il generale Philippe Pétain per competenza e grande umanità nei confronti dei combattenti, guadagnandosi, oltre al grado di maresciallo, la gloria nazionale che gli sarà però fatale nella Seconda Guerra Mondiale.

Terza sorpresa: l’inattesa rapidità dell’armistizio. L’esito della guerra fu incerto fino alla quarta battaglia sulla Marna nel giugno 1918, in occasione della quale i tedechi giunsero nuovamente alle porte di Parigi gettando il panico nella popolazione e inducendo Governo e Parlamento a prepararsi ad abbandonare la Capitale. Le divisioni d’assalto tedesche erano però sfinite e i pochi rinforzi rimasti (truppe fresche, sussistenza, armi e munizioni), a causa dei mezzi di trasporto quasi tutti distrutti, non potevano giungere rapidamente come esigeva l’offensiva in atto, sicché gli Alleati poterono stabilizzare il fronte come nel 1914. Fu l’inizio della loro vittoria finale senza saperlo, tanto è vero che, a quel momento, speravano solo di demoralizzare l’armata tedesca con obiettivi mirati e limitati. La Nazione tedesca era però sfinita: Ludendorff, ottimo stratega ma pessimo politico, diventato dopo “Verdun” maresciallo, aveva di fatto instuarato una dittatura militare sconfinante anche sull’ Austria-Ungheria e sulla Bulgaria, però non aveva saputo creare un equilibrio tra fronte combattente e fronte interno, poiché prefiggendosi continuamente obiettivi troppo ambiziosi, aveva fatto assorbire dall’armata tutte le risorse del paese, all’insegna “die Wehrmacht über alles”, af-famando la popolazione e sfiancando l’economia al punto di non essere più in grado di sostenere lo sforzo bellico, tanto più che occorreva sopperire anche ai bisogni austro-ungarici, bulgari e turchi per evitere che i loro fronti cedessero. La situazione si faceva sempre più insostenibile, anche perché era diventato impossibile rifornirsi presso gli Stati neutri americani a causa del rafforzamento del blocco, né presso quelli europei in quanto il credito era esaurito. Di conseguenza aumentavano le manifestazioni in favore della pace a qualsiasi condizione, gli scioperi e le diserzioni individuali e collettive suscitanti bande armate che vagavano saccheggiando ovunque. A tutto questo si aggiunse la grippe spagnola, giunta alcune settimane prima che negli Stati alleati e in un momento di grave penuria di cibo e di medicinali, suscitando il panico nella popolazione. La Bulgaria capitolò per prima, poi l’Austria-Ungheria incominciò a sgretolarsi in entità indipendenti e l’esercito ottomano, a seguito della battaglia degli inglesi di Palestina, il 21 settembre praticamente non esisteva più.

Demoralizzato, il 25 settembre Ludendorff informò il Kaiser che solo il cessate il fuoco immediato poteva evitare il disastro, invitandolo a nominare un Cancelliere che avesse il sostegno del Parlamento per chiedere l’armistizio, sperando che la Germania, diventata una monarchia parlamentare, potesse ottenere la pace senza secessioni né riparazioni. Quello che però Ludendorff non sapeva era che gli Alleati erano costretti a sospendere i combattimenti per raggrupparsi, poiché le loro linee di comunicazione erano molto compromesse. Quindi la Germania, tramite il nuovo Cancelliere, Max von Bade, inviò un messaggio al presidente Wilson chiedente l’arministizio sulla base dei famosi 14 punti. Gli Alleati seppero così che i tedeschi consideravano la guerra finita, per cui respinsero detta richiesta. Seguì l’abdicazione del Kaiser, poi una nuova richiesta di armistizio senza condizioni, indi l’inizio delle negoziazioni, durante le quali i combattimenti ripresero dalle due parti, per cui si continuò a morire inutilmente fino all’ultimo momento: l’11 novembre 1918 alle 11 del mattino, 96 anni fa.

L’insistenza di Ludendorff per un immediato cessate il fuoco aveva un secondo fine, subdolo quello: voleva che fossero i democratici a portare la responsabilità della disfatta, non l’Armata come previsto dal diritto consuetudinario della guerra. Scrive a questo proposito Christoph Mick: “Egli cercava un capro espiatorio, accusando il fronte interno di non aver sostenuto il fronte combattente. È in questo modo che nacque il mito dell’Armata ‘non vinta sul campo di battaglia’, il mito di una Armata ‘pugnalata nella schiena’ dai suoi nemici nel suo stesso paese”. Questo mito aggiunto alla miseria della popolazione (il blocco fu tolto solo nel corso del1919), alla debolezza della Repubblica di Weimar con il suo presidente fantoccio, il maresciallo Hindenburg, alle condizioni al di là di ogni ragionevolezza del trattato di Pace di Versailles (definito, più tardi, “un insulto all’avvenire”, in stridente contrasto con il saggio trattato uscito dal congresso di Vienna del 1815 all’indomani delle guerre napoleoniche) e alla sconfessione del presidente Wilson da parte del Congresso degli Stati Uniti togliendo ogni efficacia alla Società delle Nazioni, portò Hitler al Potere 14 anni dopo. “Mai più la guerra”, avevano proclamato solennemente i rappresentanti delle Grandi Potenze europee nel 1925 alla Conferenza della pace di Locarno. In conclusione: “gli Alleati hanno vinto la guerra ma perso la Pace”.

avv. Franco Gianoni

Le fonti: Androin-Rouzeau Stéphane, “Les sociétés européennes et la guerre 1914-1918”, CHFC Université ParisX-Nanterre; Gilles Candar e Vincent Duclert “Jean Jaurès” , Ed. Fayard; “Les combattants des tranchées”, Ed. Armand Colin; Ian Ousby “VERDUN, La più grande battaglia della prima guerra mondiale”, Ed. Rizzoli; R.G. Nobécourt “Les fantassins du Chemin des Dames”, Ed. Bertout e “L’Année 11 novembre”, Ed. Laffont; André Bissard, “Pourquoi la victoire”, Ed. Plon; Jacques Isorni, “Pétain a sauvé la Frabce” e “Souffrabces et mort du Maréchal”, Ed. Flammarion; sotto la direzione di Jay Winter prof. dell’università di Yale con il contributo di 25 dei più grlandi specialisti del conflitto,“La Premiàre Guerre Mondiale” (tre volume: “Combat”, “Etat” e ”Société”), Ed. Fayard; ; “ La guerre documentée” (sei volumi), Librairie Schwarz & Cie, Paris; Carl Klausewitz, “De la Guerre”, Ed. Minuit.; Michel Launay, “1919, Versail-les, une paix bâclée?”, Ed. Complexe. Si segnala pure il film “Orizonti di gloria” di Stalay Kubrich con Kirk Douglas e il romanzo di Jules Romain dell’Accademia di Francia, ”Verdun”, Ed. Flammarion.