Cultura

Due milioni di franchi per il bottino di Hitler, l’arte vittima di guerra

“Arrivano di notte, violenti, rubano tutto, tentano di violentare le donne, poi si portano via valori, preziosi, opere d’arte”.

Arte “degenerata” in mostra a Berlino

Raccontavano così i diplomatici stranieri nei loro rapporti inviati durante il Terzo Reich. Opere d’arte, circa 600 mila, di grandissimo valore ma considerate dai gerarchi tedeschi “arte degenerata”. Le opere confiscate durante il regime nazista furono restituite o risarcite in gran parte subito dopo la guerra. Ma si stima che ancora 100 mila di esse non siano nelle mani dei legittimi proprietari. Nel piano quinquennale dell’Ufficio federale della cultura (2016-2020) sono stati stanziati due milioni di franchi a musei e collezioni private per determinare la provenienza delle opere in loro possesso, specialmente quelle su cui vi è sospetto di trafugamento.

Lo stanziamento delle risorse rappresenta un passo molto importante in questa lunga e spinosa vicenda. Delle opere sottratte durante il nazionalsocialismo, molte finirono nei forzieri elvetici. La Svizzera fu infatti crocevia di numerose vendite di opere confiscate, ma per quanto l’impegno alla restituzione sia stato immediato, non altrettanto può dirsi dei risultati. Nel 1998 la Confederazione partecipò alla Conferenza di Washington che stabiliva in materia principi non vincolanti. Ne seguì l’istituzione dell’Ente opere d’arte frutto di spoliazioni e la creazione di un portale internet dove inserire una base di dati per facilitare la ricerca della provenienza dei dipinti. Tuttavia il processo è stato spesso ostacolato da archivi sigillati o difficilmente accessibili e soprattutto dalla diversa giurisdizione tra un Paese e l’altro.
I fondi disposti oggi verranno assegnati tramite concorso. I progetti, selezionati con criteri quali urgenza e valore del bene, verranno finanziati da un minimo di 20 a un massimo di 100 mila franchi. I musei che hanno già svolto indagini potranno ricevere fondi per pubblicare i risultati. La trasparenza è infatti uno dei principi della Conferenza di Washington.

Il caso più noto di questa storia d’arte e guerra è quello che ruota attorno al nome di Cornelius Gurlitt, figlio di Hildebrand, storico e mercante d’arte incaricato da Goebbels di vendere all’estero opere considerate di scarso valore artistico che però fruttavano soldi. Nel luglio del 1937 Gurlitt era tra i galleristi delegati a organizzare a Berlino la mostra “Arte degenerata”. Lo scopo era fare cassa e contribuire al riarmo.

Se Gurlitt padre si era difeso dalle accuse di collaborazionismo coi nazisti adducendo origini ebraiche, sorte diversa è toccata al figlio. Nel 2010 fu infatti fermato dalla dogana mentre tornava dalla Svizzera con un’ingente somma di denaro contante. Da un sospetto di evasione fiscale si arrivò al suo appartamento di Monaco dove furono ritrovate oltre 1.400 opere (tra cui Picasso, Matisse, Klee, Chagall, Munch), per 50 anni nascoste dietro rifiuti e scatole di conserva scadute. Viveva lì, solo, senza pensione né assicurazione, con la sola compagnia dei quadri, il “tesoro nazi”, il “bottino di Hitler”. Per vivere ne vendeva qualcuno ogni tanto. Nel testamento, la decisione di lasciare tutto al Museo di Berna. Complicando una situazione già delicatissima. A sbloccarla, forse, due milioni di franchi.

Alessandra Erriquez

Relatore

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