Estero

Indagine sull’indipendentismo del Donbass – parte prima |Intervista ad Alberto Fazolo

I veneti nelle repubbliche del Donbass presenze marxiste e indipendentiste sul teatro di guerra – parte prima

Di Riccardo Pasqualin

Da anni si vocifera sulla presenza di indipendentisti veneti e membri dei collettivi rossi nel Donbass, ma un’informazione corretta non può basarsi su semplici dicerie. D’altro canto, al momento, quelle regioni russe sono irraggiungibili; per avere delle notizie concrete è quindi il caso di rivolgersi innanzitutto a chi le repubbliche di Donetsk e Lugansk le ha potute visitare per un lungo periodo, anni prima dell’inizio dell’operazione militare messa in atto dal governo di Mosca.

Ne sa qualcosa Alberto Fazolo, un giornalista e militante comunista che ha trascorso due anni in Donbass (dal 2015 al 2017), ed è da lui che chi scrive ha iniziato la sua ricerca di informazioni. Fazolo ha trasposto le sue impressioni sulla guerra in un libro: In Donbass non si passa. La resistenza antifascista alle porte dell’Europa (Redstar Press, 2018; seconda edizione 2022), un testo scritto a quattro mani con Nemo, commissario politico e comandante di InterUnit, l’unità internazionalista all’interno del Battaglione Prizrak. I dati del pubblicista sono stati divulgati in rete dal famigerato sito Myrotvorets («Pacificatore»), affiliato al ministero degli esteri di Kiev, che diffonde i dati personali di coloro che sono considerati «nemici dell’Ucraina». Una nota a In Donbass non si passa riporta: «In risposta a quanto sostenuto da alcuni, gli autori dicono di non essere la stessa persona», e ripetere ad Alberto la stessa domanda, a cui già molte volte ha risposto, sarebbe una mancanza di educazione.

Lo scrittore ha una cadenza che rivela subito i suoi natali romani, è un personaggio assolutamente cortese, che indugia volentieri nella battuta di spirito, ma al contempo, quando ha modo di parlare in pubblico della guerra, i suoi occhi assumono a tratti un’espressione dura, provocata forse da ricordi indelebili, fotografati per sempre nella memoria. L’attivista ha accettato di buon grado l’intervista propostagli.

*       *       *

Alberto, grazie innanzitutto per la disponibilità, nonostante l’argomento della nostra discussione sia solo un dettaglio secondario nell’attualità del Donbass e della tua esperienza sul campo. Hai incontrato combattenti veneti durante la tua permanenza nel territorio delle repubbliche popolari? Si intende militanti comunisti…

Sì, il più famoso è il mio compagno Edy Ongaro, caduto in battaglia poco tempo fa, ma ce ne erano anche altri. Io non so dire se questi ultimi fossero tutti combattenti o meno, alcuni erano nelle forze armate, li ho visti in uniforme nelle città, ma non so dire che funzioni avessero. Quello è un luogo in cui gli abiti militari li indossano anche persone che non sono direttamente coinvolte nelle attività militari.

Nelle fotografie che circolano si notano divise, per così dire, “antiquarie”. Ad essere onesti sembrano proprio le ultime divise in dotazione dell’armata sovietica, quelle che in Italia si trovano facilmente nei mercati, sui banchi di commercianti russi o polacchi.

Esatto, perché sono quelle più facilmente recuperabili. Ma il fatto che uno sia in uniforme non significa necessariamente che sia un combattente. Subentra pure, per certi aspetti, un fattore di moda. Anche qui in Italia quante persone vediamo che vanno in giro con abiti militari, ma poi militari non sono per niente?

Dai telegiornali si rimane stupiti anche da quanto i soldati della Federazione Russa paiano liberi di “personalizzare” le loro divise, si sono viste falci e martelli, stemmi imperiali…

Non proprio tutti i reparti possono, diciamo che ci sono delle libertà in più per i reparti d’assalto e un po’ più di rigore per la fanteria ordinaria.

Torniamo a Edy Ongaro. Nell’Ottocento veneto c’è stato un rivoluzionario trevigiano amico di Garibaldi che si chiamava Francesco Dall’Ongaro (1808-1873), un combattente del Risorgimento, ma vicino anche alle rivendicazioni degli slavi. Immagina lo stupore nell’apprendere dell’esistenza di un militante internazionalista con un cognome simile. Cosa puoi dire di lui?

Non sapevo di Dall’Ongaro. Per me questa coincidenza è una bella notizia, spero che Edy sapesse di questa cosa, perché gli avrebbe fatto piacere.

Potrebbe darsi. Per essere un muratore mostrava di avere un buon livello di cultura, dai video in cui appare.

Sì, era appassionatissimo di lettura e di musica, ci si dedicava costantemente. Ci tengo a sfatare le malignità che molti hanno detto sul suo conto, sul fatto che fosse scappato dalla giustizia perché aveva commesso dei crimini in Italia. I reati che aveva commesso in Italia non erano che scontri allo stadio e risse in osteria, per cui gli restavano da scontare – probabilmente – un paio di mesi di servizi socialmente utili. Chi va sette anni in guerra non scappa da una condanna di due mesi.

Voglio riabilitare la sua figura.

In un’intervista che ha rilasciato, ormai diventata famosa, sembra che il volontario lasci trasparire un cambiamento di vita: «Ero in condizioni deplorevoli, scandalose per uno stato che si dice civile». Era un soldato disciplinato? 

Le milizie popolari hanno una forma di disciplina che non sempre corrisponde alla disciplina degli eserciti regolari. Ci sono molte più libertà, questo va considerato. Era un buon soldato.

Nel tuo libro hai descritto in più punti la questione dell’alcolismo anche tra i soldati…

Nel Donbass c’è un grossissimo problema di alcol, che affonda le sue radici nella notte dei tempi, basta vedere cosa scriveva Tolstoj a riguardo.

I veneti non si tirano indietro quando c’è da bere, ma per gli standard del Donbass ciò che consumava Edy era poca cosa.

Esistono memorie lasciate da Edy Ongaro?

Le stiamo cercando, aveva due quaderni sempre con sé: uno conteneva il racconto dei suoi viaggi (che toccavano un po’ tutta l’Europa), l’altro non era propriamente un diario di guerra, ma una raccolta di pensieri che aveva maturato nelle zone di combattimento. Purtroppo non li troviamo più, lui è morto in una zona molto avanzata del fronte e probabilmente i suoi effetti personali non sono stati portati via dal posto dove stava.

Avresti voluto curare un’edizione di questi testi?

Non so se sono la persona più adatta, anche perché la sua grafia non la capivo per niente. Però comunque sì, con i compagni sarebbe sicuramente stato fatto un lavoro del genere.

Sarebbe significativo per gli storici del futuro, a prescindere dalla qualità letteraria dei manoscritti.

I suoi racconti erano molto interessanti, descrivendo i suoi viaggi – siccome era anche poliglotta – tanti di questi suoi appunti erano in altre lingue: spagnolo, polacco, inglese. I ricordi dei luoghi erano nelle lingue locali, una cosa affascinante. Speriamo saltino fuori…

Veniamo ad altri veneti, gli indipendentisti. Nei hai incontrati?

Sì, non erano né della Lega né della Liga, si definivano «venetisti», si facevano chiamare così.

Non so se questo gruppo esista ancora.

Attualmente il mondo degli indipendentisti veneti è diviso tra chi sostiene l’Ucraina e chi il Donbass (o meglio il progetto della Novorossiya). In generale è una realtà molto variegata: tra le numerose frange c’è chi rielabora il pensiero del partigiano federalista Silvio Trentin (1885-1944), chi si rifà al federalista risorgimentale Giuseppe Ferrari (1811-1876), un proto-socialista, e ci sono anche dei comunisti che vorrebbero per l’Italia un modello alla jugoslava.

Quelli che ho incontrato non dicevano nulla di tutto questo, loro volevano l’indipendenza. Parlavano di Venezia e studiavano la lotta d’indipendenza di diversi altri popoli tra cui quello del Donbass, da cui erano particolarmente affascinati perché per certi aspetti ricorda di più la loro causa rispetto ad altre. Basta citare anche già solo il fatto che il Donbass e le zone circostanti sono una delle aree più ricche e industrializzate della regione, questo per certi versi si avvicina al contesto veneto.

Ti pare che queste persone avessero una consapevolezza politica?

Non c’era una matrice politica. Cercavano di ricusare in ogni modo ogni componente ideologica, anche perché comunque alcuni di loro avevano un’estrazione politica di destra e trovarsi all’interno di repubbliche popolari gli creava una contraddizione. Quindi credo cercassero di sminuire questo aspetto, questa è stata la mia percezione.

Il tuo libro non lesina critiche all’amministrazione civile e militare del Donbass, ha un tono “autocritico” che potrebbe ricordare Omaggio alla Catalogna (1938) di Orwell. Citi anche la fastidiosa presenza dei rossobruni che le autorità delle repubbliche popolari hanno cercato di allontanare, ma gli indipendentisti sono qualcosa di assolutamente diverso dai «mutanti ideologici».

Certo, non erano assolutamente come i rossobruni!

Riguardo gli indipendentisti veneti, citando sempre le parole del tuo libro, dobbiamo dire che anche loro hanno messo a repentaglio «l’incolumità fisica o la conservazione delle garanzie della vita civile» per un’idea. Certo non erano lì per combattere, ma a questo punto bisogna chiarire che genere di attività stessero svolgendo, diplomatiche? Propagandistiche? Giornalistiche?

Penso cercassero contatti internazionali. Già il fatto di rinunciare al comfort della nostra vita qui in Italia è un qualcosa che merita rispetto. Pensiamo anche ai giornalisti che vanno in zone di guerra ad alto rischio (a prescindere dal fatto che condividiamo o meno le cose che scrivono), rinunciano comunque agli agi della nostra vita.

Mi pareva che avessero parlato di una sorta di anagrafe veneta, qualcosa del genere. Io ad esempio ho il passaporto della Repubblica Popolare di Lugansk; si sa: in vari territori del mondo, diversi stati non riconosciuti emettono i propri passaporti e forse c’era un progetto del genere pure per una Repubblica Veneta…per questi venetisti, che ovviamente non volevano tenere l’anagrafe in Italia. Mi sembra che volessero fare una richiesta, quantomeno, di poter tenere l’anagrafe lì, nel Donbass. Però non so se siano riusciti a portare in porto la cosa, anche perché si tratta comunque di una banca dati, devi connetterla in qualche modo…e come fai se internet non c’è quasi mai? È un po’ inutile avercela lì.

Relatore

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