Leggo i nomi di alcuni grandi gruppi economici che hanno sponsorizzato il Pride di Milano. Innanzitutto i soliti colossi del capitale americano: Amazon, Microsoft, Google, McKinsey. Gli yankee non mancano poi.

Poi Sky, Nestlè, Garnier, Intesa San Paolo, Unicredit, Tim, Vodafone, Fastweb, Generali e tanti altri. Compresa la Juventus degli Elkann.

E’ il sistema orgiastico-mercantile

I poteri economici e finanziari promuovono il vizio, detestano la virtù. Lo testimonia nel modo più completo il capitalismo orgiastico del rap, del trap, di Hollywood, di tutta l’industria musicale e dell’intrattenimento. Che oggi odia il bello, il vero e il bene.

L’economicizzazione del mondo promossa dal capitalismo si è dimostrata molto più efficace di quella promossa dal marxismo per scristianizzare e desacralizzare popoli e società intere. Ma non si accontenta. Essa deve spingere incessantemente quella che il pensatore inglese Thomas Carlyle (1795- 1881) chiamava “pig philosophy” (la filosofia dei maiali).

Finché la società era ancora formalmente cristiana questa “filosofia dei maiali” si limitava all’ambito strettamente economico, ma quando l’economicizzazione venale e consumistica ha strappato i popoli alla religione, essa non ha avuto più limiti, come intuirono, tra gli altri, Augusto del Noce e Pier Paolo Pasolini negli anni Settanta. Ecco allora l’unione tra Sodoma e Mammona. Tra la sovversione del vizio e quella del capitale.

Del resto, come dimostrò nei suoi studi il grande antropologo francese Louis Dumont (1911-1998), l’individualismo radicale e l’egualitarismo estremo (che ora col “gender queer”nega persino l’esistenza dei sessi), che ci allontanano sempre di più da ogni concezione tradizionale e comunitaria della vita, sono del tutto inseparabili dall’ascesa dell’economico come valore assoluto. Inseparabili.

L’ascesa continua del potere ’economico è inseparabile dal caos sociale, come dimostra al meglio il modello americano. E’ inseparabile dal disordine costituito. Dentro e fuori il cuore dell’uomo.

Martino Mora

Il Vitello d’oro