La sua bella mostra alla Galleria Art… on Paper di John Dupuy è stata inaugurata ieri alla presenza di un folto pubblico (parecchie persone giunte anche da Zurigo). Per i nostri lettori abbiamo scattato alcune foto. In guisa di commento pubblichiamo integralmente la magnifica presentazione della professoressa Lina Bertola, apprezzatissima nostra collega d’istituto per tanti anni a Lugano 1.
… per incontrare il mondo di Carolina Nazar…
Non parlerò di queste straordinarie opere di Carolina Nazar perché sono loro che stanno parlando a noi. Eccome ci parlano! Sentiamo tutti, credo, un’intensità, una forza…sentiamo la loro presenza corporea, fisica, totalmente avvolgente…
Un’esperienza così intensa ci fa sentire, anche, come le parole siano sempre un po’ mancanti, mancanti e forse anche inadeguate, rispetto al senso.
C’è come un urlo nella voce che ci raggiunge da queste pareti, come un’eccedenza, un supplemento d’anima.
Così, per sentire la voce di questo mondo che ci sta attraversando il cuore, vorrei accompagnarvi ad ascoltare il silenzio. Vorrei accompagnarvi dentro il corpo del silenzio, perché lì, credo, possiamo incontrare ciò che davvero esiste, ciò che pulsa in queste opere, ciò che vive, prima delle nostre parole.
Certo, la parola è la casa in cui abitiamo. La parola sa dire l’anima, sa offrire un incontro d’anime, perché nel donarsi parole c’è sempre anche l’altro: il volto, i volti dell’altro. L’altro che mi guarda e che mi interpella.
Ma ora la parola chiede di dissolversi, di dissolversi dentro la voce delle opere che ci accarezzano da questi spazi.
E allora vorrei accompagnarvi verso questa domanda che ci sorprende qui, ora. Vorrei accompagnarvi ad accogliere questa sorpresa che interpella la nostra anima, il nostro segreto, forse anche il nostro mistero.
E ci chiede di accoglierlo, abbracciandolo, il nostro silenzio, per incontrare il mondo di Carolina.
Perché il silenzio che sta dietro le parole è un luogo importante del nostro cammino spirituale.
Nel giardino dei nostri silenzi, le percezioni esplodono come una via per scambiare con la natura, con il mondo, con il volto dell’altro.
Nel giardino dei nostri silenzi, possiamo coltivare il corpo, il territorio dell’ anima. C’è molto del corpo dell’artista in tutto ciò, credo. C’è molto di Carolina…
Una donna con un nome bellissimo, Luce, Luce Iragaray, mi ha insegnato a raccogliermi nel silenzio per costruire il mio mondo interiore, e per entrare davvero, da questa soglia, discretamente, nel mondo dell’altro.
Sì, perché, come dice lei, ogni parola è sempre parziale, mentre il silenzio, invece, è custode: custodisce l’integrità dell’essere, la pienezza della vita.
E’ bello essere qui, ora, per cercare di svelare a noi stessi, l’indicibile…
Oblivion, come uno sgorgare di parole nuove, come sempre accade alla musica, che nasce e rinasce, sempre, da un silenzio.
“Hacia el Sur, el cielo tenia el color rosado dla encia de los leopardos”
Questa citazione del magico racconto di Borges “Le rovine circolari” ha tanto ispirato Carolina e ora ispira anche me, nel tentare di pronunciare due parole nuove. Due nuove parole che queste opere mi hanno donato.
Parole emerse dal dissolversi di tante altre parole che vogliono spiegare la vita e che per spiegare distinguono, distinguono e separano, e dicono un “prima”, e dicono un “dopo”, e dicono un “altrove”.
Cosmo è il tutto che ci attraversa: con-fusione, fusione di tutti i frammenti, di tutti i dettagli, di tutti gli attimi del nostro esserci.
Come il sogno nel racconto di Borges: un sogno che non è mai sognato;
e come accade in questo straordinario racconto di Carolina che avvolge lo spazio e le nostre anime, qui, adesso.
Carolina mi ha donato, ci ha donato, la parola Sacro.
Quel Sacro che purtroppo abbiamo messo in cielo e così l’abbiamo perso per sempre.
Le opere di Carolina Nazar sono un invito a rinominare il sacro per quello che veramente è: l’indifferenziato che nutre l’essere di ogni cosa, ciò che con-fonde i codici, e li contiene tutti.
Le opere di Carolina ci invitano a nominare il sacro, senza temere la sua magia e forse anche la sua follia.
A nominarlo, e a custodirlo dentro di noi, come un’aurora, quando la notte non è più notte e il giorno non è ancora giorno.
Lina Bertola
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