di Tito Tettamanti

Di questi tempi il tema della neutralità è oggetto di vari dibattiti.
Un’iniziativa che ha raccolto 130.000 firme vuole inserire un art. 54a nella Costituzione per cementare la nostra neutralità. È ispirata da Blocher, che vede un pericolo nella tattica del Presidente del Centro Pfister il quale aspira a congiungersi con i Verdi Liberali per creare alle Camere una frazione equivalente per importanza numerica a quella socialista con la quale realizzare una politica più di sinistra che di centro togliendo influenza all’UDC. La neutralità nelle mani di una simile maggioranza preoccupa non solo Blocher.
In risposta e in opposizione all’iniziativa 87 personalità svizzere, fra le quali troviamo ex Consiglieri federali, personalità che hanno rivestito cariche politiche, professori e ambasciatori, hanno lanciato un manifesto di dieci punti per la neutralità del 21. secolo.
Secondo me entrambi i contendenti con il loro atteggiamento e le loro proposte dimostrano di avere una visione rigida ed idealizzata della neutralità dimenticando che la stessa è figlia dell’opportunismo e della convenienza. Il suo scopo non è di salvare il mondo ma di proteggere i propri interessi. Non confondiamola con le illusioni dei pacifisti. Il poter rimanere neutrali infine dipende dalla o dalle controparti.
Se uno mi prende a schiaffi ho un bel dire che sono neutrale ma o mi difendo o prendo un sacco di botte.
La neutralità poi vive anche di compromessi, della necessità di contemporaneamente non urtare interessi diversi, mediare tra richieste contrastanti, capacità di essere utili e di individuare di volta in volta atteggiamenti abbastanza duttili. Il successo dipende molto dall’abilità di chi rappresenta la causa.
Ha ovviamente anche le sue ombre perché quasi sempre figlia di compromessi. Se pensiamo alla Svizzera negli anni ’39-’45 la politica federale non è stata esente da qualche pecca, ma se dimentichiamo le critiche, frutto di visioni ideologiche, del rapporto Bergier, non era certo facile vivere totalmente circondati da quattro Nazioni dell’asse nazi-fascista, con un’Europa continentale o occupata o collaborazionista. La grande abilità diplomatica di Paul Jolles ci ha permesso nel dopoguerra di regolare con successo i contrasti con gli USA a proposito delle riparazioni e dei sospetti traffici con l’oro della Germania.
Di conseguenza a proposito di neutralità meno si scrive, meno ci si ancora a concetti e formule, si fissano limiti meglio è. Ogni parola in più è un laccio che condiziona i nostri rappresentanti in future negoziazioni. Non per nulla la Costituzione (art. 173 e 185) affida la neutralità al Consiglio federale limitandosi a menzionare il termine. È vero, vi è la Carta dell’ONU del 1945, altri accordi internazionali, ma vi è sempre una certa elasticità di interpretazione se non ci si compromette in anticipo.
La neutralità ovviamente esige sacrifici, innanzitutto quello imposto dalla modestia, saper rinunciare alle luci dei riflettori ed astenersi, caso recente, dal vantarsi tramite stampa perché il Consiglio di Sicurezza dell’ONU avrebbe deciso quello che abbiamo proposto noi.
Impone pure una riservatezza protocollare nei rapporti con gli altri Stati, il saper fare una differenza tra quelli che possono essere i legittimi sentimenti ed emozioni dei cittadini, liberi nella loro espressione e quello che la Confederazione si può realisticamente e tatticamente ufficialmente permettere.
Come svizzeri possiamo essere indignati per le sorti degli Uiguri in Cina, ma non per questo il Governo, per evidenti ragioni di interesse, può permettersi di interrompere i rapporti con la Cina stessa.
La preferenza e le ambizioni personali per una politica oggi in atto di sempre maggior presenzialismo su un piano internazionale impongono posizioni che rendono difficile l’atteggiamento neutrale.
Il Dipartimento degli affari esteri è su posizioni spesso non completamente neutrali per partecipare ai giochi. Il nostro Ministro degli esteri, in un momento estremamente delicato è influenzato dalla sua tendenza all’armonia, dimenticando che il grande diplomatico non è quello sempre consenziente con tutti ma quello che convince le controparti. Parimenti rispettabili umanamente le sue emozioni. Quale semplice cittadino considero l’inizio di una guerra da parte di Putin un atto criminale, posso abbracciare con effusione Zelensky per sottolineare tutta la mia solidarietà. Il rappresentante del Governo svizzero deve contenere le emozioni e attenersi a forme che evitino di mettere in forse l’imparzialità di giudizio. Dobbiamo evitare di essere troppo appariscenti per essere disponibili e più utili, se richiesti, quando si dovranno ristabilire le linee di influenza tra il mondo delle democrazie europee e quello del neo zarismo putiniano.
E il Bürgenstock voluto da Zelensky e organizzato dalla Svizzera? Ha dimostrato la nostra abilità organizzativa ma anche la mancanza di vera autorevolezza. Auguriamoci serva quale passo intermedio nella direzione pace.
Termino ricordando Hans Morgenthau che con la sua opera magna “Politica tra le nazioni” ci invita a non dimenticare che tra le nazioni non vi è amicizia, al massimo temporanea coincidenza d’interessi.
Vale anche per la neutralità.

Ripubblicato con il consenso dell’Autore e della testata CdT