E’ ormai giunto il tramonto per il culto dell’amor pagano, e sulla vitalità arcaica dell’amor profano calano le tenebre. Una nuova luce sta per sorgere, anzi è già sorta, fiammeggiante ha spento, con le sue ceneri di penitenza, l’ardente amore cultuale di Venere.
“Cras amet qui numquam amavit – quique amavit cras amet “
Siamo verso la fine del II sec d.C., il Cristianesimo s’è instaurato sui troni dei Templi trasformati in Chiese e canti di morte e resurrezione s’impongono sui lamenti dell’amor fugace.
Ma c’è ancora qualcuno che non cede al nuovo culto, e dedica un ultimo struggente inno agli dei, sul tramonto dei fasti di un mondo, a colei che ogni mattina albeggia sui letti degli amanti, Venere.
Il Pervigilium Veneris è considerato uno degli ultimi componimenti della letteratura pagana, (pur non essendo ancora giunto il crepuscolo del IV-V secolo di Rutillio Namanziano e Claudiano), antenato del canto di Bacco e Arianna di Lorenzo il Magnifico, che inneggia all’amore, quell’amore che fugge, ma che vale la pena d’esser vissuto.
Sul finire di una tradizione, si riallaccia così a essa, sul filone sin dal paraklaustrion greco (lamento dell’innamorato sulla soglia dell’amata), ai neoteroi (Catullo, Cornelio Gallo), ai poeti elegiaci (Tibullo, Properzio.)
Così il canto dell’ Autore che la Storia decretò dovesse rimanere anonimo, proprio in merito alla sua non-identità, accoglie l’identità di un’intera genia. Una ben nobile genia (Eu genia) incubatrice della componente rinascente umanistica, che mille anni dopo, sarebbe risorta.
Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia. Chi vuol esser lieto, sia! Del doman non v’è certezza.
“Cras amet qui numquam amavit – quique amavit cras amet”
(“Chi amore non conobbe, ami lieto domani, – Chi amor conobbe, ancora torni ad amare domani”)
Vivamus mea Lesbia, atque amemus
(…)
Soles occidere et redire possunt
Nobis, cum semel occidit, brevis lux
nox est perpetua una dormienda.
Da mi basia mille (…)
Chantal Fantuzzi
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