Cento giorni dopo la sua decisione, a Waterloo, il 18 giugno 1815, duecentouno anni orsono, si compiva il destino di un uomo, di un imperatore, di un piccolo principe che non sarebbe stato mai re, e dell’Europa Intera.
La battaglia di Waterloo è un enigma, scriverà molto più tardi il bonapartista Victor Hugo. Secondo alcuni la vittoria anglo-prussiana fu inevitabile, molti altri sostengono invece che sia derivata dal caso e dall’imprevidibilità, come l’irrisolutezza di Ney e Soult nella gestione del corpo d’Erlon durante la battaglia di Ligny, come la pessima condizione di tutti i battaglioni del primo, come l’incomprensione di Grouchy riguardo il vero senso degli ordini ricevuti, alla pioggia scrosciante del giorno 17, che ritardò l’attacco francese del dì seguente. Con la conclusione finale dell’incredula sconfitta napoleonica.
l piano di battaglia era stato perfetto, Napoleone disponeva un esercito dei migliori veterani, guidati dal maresciallo Davout, Ministro della Guerra durante i cento giorni. I generali che l’imperatore si trovava ad avere di fronte non avevano una nomina che potesse incutere terrore. Dal metodico Wellington, al carismatico Blucher. Dall’altra parte i marescialli bonapartisti, forse ambiziosi, forse imprudenti. Lo sciocco Ney, l’altezzoso Soult, l’inconcludente Grouchy. Furono loro a decretar sconfitta? O forse, piuttosto, fu l’ineffabile destino, che mai permette agli storici di farsi cogliere, ma corre così, sulle ali del tempo e della storia, e sulle vite di coloro che rende suoi protagonisti, o a cui è concesso credere di esserlo.
Due scrittori di campo avverso, Scott e Hugo, descriveranno con umanità e introspezione più o meno veritiera, la battaglia di Waterloo. Entrambi percepiranno, l’uno con fastidio, l’altro con proclama, un’ombra, sulla vittoria di Wellington.
Napoleone, invece… excusatio non petita, accusatio manifesta. Nella guerra non sono ammessi errori. Errori che la storia, e le analisi di questa, non sempre permettono di individuare.
“Era possibile” si chiede infine Hugo “che Napoleone vincesse la battaglia di Waterloo? No. A causa di Wellington? No, a causa di Dio.” E conclude “mentre Napoleone agonizzava a Longwood, i sessantamila uomini caduti sul campo di Waterloo imputridirono tranquillamente, e qualcosa della loro pace si diffuse nel mondo. Il congresso di Vienna ne formò i trattati del 1815 e l’Europa diede a ciò il nome di restaurazione. Ecco che cos’è Waterloo. Ma che cosa importa all’infinito? Tutta quella tempesta, tutta quella caligine, quella guerra, poi quella pace, tutto quel buio, non intorbidò neppure per un attimo lo splendore dell’immenso occhio davanti a cui un pidocchio che salti da un filo d’erba all’altro è uguale all’aquila che vola da un campanile all’altro fino alle torri di Notre-Dame.”
Chantal Fantuzzi
Nella foto il figlio di Napoleone e Maria Luisa, duca di Reichstadt, “l’Aiglon”
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