Segnala ’la tomba di Giovanni Spadolini, storico, giornalista e politico della “prima repubblica” italiana’.
Spadolini era fatto cosi’, non c’era limite a lla sua autocelebrazione.
Non che non ne avesse diritto, non fosse altro che per i suoi fondamentali volumi *L’opposizione cattolica” e “Giolitti e i cattolici”.
A vedere la tomba di Spadolini col tricolore ficcato sopra vengono in mente i versi di Stecchetti per la morte in duello del leader radicale Felice Cavallotti (oggetto fra l’altro di una biografia spadoliniana) rivolti all’uccisore: “Verre t’inganni / Nel fatal duello / non fu tua la vittoria/ /Con un colpo di spada o di coltello / non si uccide la storia”.
Certo l’idea di sfidare qualcuno a duello era lontanissima dal cuore e dalla mente del direttore del “Resto del Carlino”, poi del “Corriere della sera”.
Non si puo’ dire che Spadolini fosse un coraggioso. Una sera a cena, saputo non so come che il giornalista dell’ ”Espresso” Paolo Pavolini gliel’ ”aveva giurata” mi chiese se quella minaccia di morte fosse vera.. Io non potei dirgli di no, né volevo buttare la cosa in ridere perchè vidi che era davvero preoccupato. Gli dissi di stare tranquillo perché Pavolini non mi sembrava tipo da minacce cruente serie. Non gli dissi pero’ la frase che Pavolini stesso aveva usato con me: “Quanto a quel verme di Spadolini, al momento buono, una palla pulita e via!” che evocava improbabili scenari rivoluzionari fatti di sparatorie improvvise ed estemporanee vendette. ”Una palla pulita!“ Ma era il 1969 e niente pareva davvero impossibile. Caso mai improbabile, visto che -Pavolini era altrettando corpulento di Spadolini. Tutto il contrario dell’omonimo Alessandro, che era stato gerarca fascista a Firenze ed era noto come “fegataccio”
Spadolini era cosciente dello scarso peso elettorale del suo partito repubblicano. Per questo, da presidente del Consiglio, si era inventato le “visite ufficiali” e ogni settimana si faceva ricevere in pompa magna in un capoluogo diverso allo scopo di raggranellare voti. Ma lui ne soffriva, di questa inferiorità numerica. Ancora di piu’ quando perse la carica di premier e fu costretto, per restare in sella, ad assumere quella, per lui improbabile, di ministro delle Difesa.
La prima volta che lo rividi in quella nuova veste mi scappo’ di chiamarlo “ministro”, anziché “presidente* come se quella di presidente fosse un’onorificenza indipendente dalla carica.
Mi guardo’ storto per un attimo, il tempo di farmi capire la mia gaffe…
Umberto Giovine
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