Primo piano

La speranza dell’arte e il sogno di Rodchenko – Intervista a Olga Sviblova

2016

Si appresta a celebrare i venti anni dalla fondazione della Casa della fotografia, Olga Sviblova, direttrice del Museo delle arti multimediali di Mosca. Un gioiello dell’arte, non solo russa, che oggi le istituzioni culturali definiscono Mini-Guggenheim. Lei ne è giustamente fiera, del museo come della scuola intitolata a Rodchenko, l’avanguardista eclettico protagonista della mostra da poco inaugurata al Lac.

Dalla fotografia alla grafica, Rodchenko si configura come un eccellente testimone del suo tempo. Articoli e diari documentano dettagliatamente fatti e pensieri di un’epoca irripetibile nella storia. Dove non arrivano le parole, ci sono le immagini. Le sue foto raccontano come nessuno la Mosca dagli anni Venti ai Quaranta, dal regime al popolo, dal mondo dello sport a quello dello spettacolo, nessuno sfugge al suo obiettivo. Nelle fotografie ma anche nei poster e nelle copertine, tutto il mondo che gli ruota attorno viene messo insieme. Come nei pezzi dei suoi fotocollage, ritroviamo ogni elemento utile a comporre l’immagine della Russia socialista. Quella del sogno e quella del disincanto.

Qual è il fil rouge di tutti i campi artistici che Rodchenko sperimenta?
Olga Sviblova  Il senso della sua estetica. È quello che mette insieme così tante espressioni differenti. Rodchenko parla molte “lingue”, è continuamente in dialogo con gli artisti prima di lui e i suoi contemporanei. È vicino a Malevic, a Kandinsky, ai dada, al Bahuaus. Fa parte di un gruppo di avanguardisti che sono straordinari generatori di idee creative. Così si fa vettore di un movimento che guarda al futuro. È questo il grande piano manifestato nella sua estetica. Modificare la realtà.

In cosa consiste la lezione di Rodchenko che arriva fino a oggi?
L’arte per Rodchenko ha una missione: cambiare la vita, cambiare il nostro punto di vista, cambiare posizione. È questo ciò che un artista dovrebbe fare e spingere a fare. Le sue diagonali, le visioni dall’alto in basso e viceversa, sono tutte testimonianze della sua volontà di guardare alla vita e al mondo secondo punti di vista non convenzionali. Con la ferma convinzione che l’arte non è un’aggiunta alla vita ma uno strumento per trasformarla. Questa sua persuasione energica è in tutte le sue differenti manifestazioni artistiche. Tanta energia è accumulata in ogni sua creazione. È grazie a essa che è capace di innovare tutto ciò che tocca.

Rodchenko guarda all’arte secondo tutti i suoi media. È il primo vero fotografo multimediale. Non a caso approda alla fotografia dopo la grafica e il cinema. È lui che ipotizza (senza poterla realizzare) la creazione in Unione sovietica di un museo innovativo che unisca design, fotografia, pittura, scultura e tutte le possibili componenti di quella che oggi chiamiamo arte contemporanea. Le sue idee fortemente creative sono alla base della nascita del Moma di New York, il primo museo con sezione fotografica. Questo è possibile perché tra le amicizie di Rodchenko c’è anche Alfred Barr, direttore e fondatore del primo museo di arte contemporanea. Barr è spesso a Mosca e le sue discussioni con Rodchenko lo influenzano parecchio. Senza dimenticare che lui insegna a VChUTEIN, l’istituto di arte e tecnica che per quei tempi è una sorta di istituto multimediale, dove si insegna il design tessile, il design dell’illuminazione e degli interni, il design di prodotto e nello stesso tempo la pittura, la scultura e la fotografia.

Dunque, possiamo dire che con il Multimedia art museum di Mosca avete realizzato il sogno di Rodchenko?
Sì, grazie allo stretto legame con la famiglia Rodchenko, con cui abbiamo organizzato e aggiornato la collezione, preparato dieci mostre e una grande retrospettiva e con cui ora stiamo curando una mostra in occasione del ventesimo anniversario della Casa della fotografia, che senza loro non sarebbe mai esistita.

All’interno del nostro Museo c’è la scuola di fotografia e multimedia intitolata a Rodchenko. Qui si gode non solo della sua collezione ma di tutte le idee che lui professa. Con la scuola Rodchenko formiamo i migliori artisti in Russia oggi. Negli ultimi cinque anni i nostri studenti hanno partecipato alle più importanti competizioni e vinto i principali premi nell’ambito russo e internazionale, dal premio Kandinsky al World press photo. Rappresentano il futuro della fotografia, e sono giovanissimi. Come Julia Milner, che alla Biennale di Venezia del 2007, appena 25enne, ha presentato un progetto che lega arte e tecnologia. Questa sperimentazione di Net-Art si chiamava “Click I hope” (opera che diede il nome a tutto il Padiglione russo): gli utenti di Internet in tempo reale cliccavano sulla frase “I hope” scritta in cinquanta lingue del mondo. È un progetto di cui sono molto orgogliosa perché l’arte esiste per mantenere viva la speranza. E in effetti la speranza è l’elemento principale dell’estetica di Rodchenko.

Molti grandi artisti vengono apprezzati solo dopo la loro morte. Quale effetto ha l’arte di Rodchenko nel suo tempo?
Rodchenko vive un momento di gloria molto presto. Lavora per importanti giornali, riviste e periodici. È molto apprezzato, porta in Russia l’esperienza del Bahuaus e partecipa alle creazione del padiglione sovietico a Parigi. Insomma è al centro di questa vitale energia. Sono gli anni Venti e Rodchenko e i suoi contemporanei credono di poter cambiare il mondo con l’arte, è un periodo in cui la sperimentazione artistica e quella politica coincidono. In particolare si riconosce la forza suggestiva della fotografia. Lenin stesso crede sia un’arma per cambiare il pensiero del popolo. Rodchenko usa così la fotografia e il fotomontaggio.

Ma questo allineamento tra potere e avanguardie ha vita breve. In pochi anni si afferma il realismo socialista e gli avanguardisti vengono fortemente criticati. Rodchenko, accusato di formalismo, viene isolato e tagliato fuori. Per questo si rifugia nell’unico spazio che ancora conserva una libertà creativa, il circo, e si serve della tecnica di quelli che erano i suoi nemici, i pittorialisti. A conclusione del suo percorso, totalmente deluso, si dedica alle foto ritoccate a mano.

Tutte le creazioni presenti in mostra evidenziano la tragedia della degenerazione dell’avanguardia. Ma al tempo stesso mettono in luce quanto meravigliosa e potente sia la speranza di cambiare il mondo. È un monito per l’arte contemporanea, un’occasione per riflettere sui rapporti con il potere. L’arte deve essere libera.

Intervista di Alessandra Erriquez

Relatore

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