E’ ancora possibile oggigiorno fare arte sacra? Le maestose vetrate e le opere monumentali quest’artista contemporanea ci insegnano che sì, anche in quest’epoca decadente l’arte può rendere onore e gloria a Dio

Di Liliane Tami

Come è riportato sul sito della stessa artista, https://www.febartline.it/index.html, citando il messaggio
agli artisti del Concilio Ecumenico Vaticano dell’ 8 dicembre 1965, “La bellezza, come la verità, mette la
gioia nel cuore degli uomini, ed è un frutto prezioso che resiste al logorio del tempo, che unisce le
generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione.” E, Feba, questa grande anima il cui dito con cui regge
i pennelli è mosso da Dio, resterà nei secoli dei secoli nei rosoni delle chiese e sulle vetrate delle
cattedrali, mettendoci gioia nel cuore ed insegnandoci che la verità è questa e non certo un volgare
graffito fatto con uno spray. Che Dio benedica questa donna, testimone di luce e bellezza, ora e sempre.

Feba, il cui nome ricorda Santa Febe, l’ amica di San Paolo incaricata di portare il Vangelo ai Romani,
coi suoi capolavori riesce ancora oggigiorno a testimoniare la grandezza del Cattolicesimo in questa
società sempre più effimera e dissoluta. Barbara Farabecoli – questo è il suo nome – è nata a Roma nel
1967 e la sua arte è presente in centinaia di chiese in tutto il mondo. Nel 1990 la regione Lazio le ha
rilasciato la qualifica di “addetta alle lavorazioni di vetro, resine, mosaici e metallo per l’artigianato
sacro” e, dopo al diploma in Scienze religiose ottenuto alla Pontificia Università Gregoriana, ha
conseguito anche il Baccalaureato in Teologia.
I suoi capolavori, di dimensione monumentale, sono fatti per durare materialmente nei secoli dei secoli
e possiedono una bellezza eterna che sopravviverà alla moda decostruttivista e post-moderna odierna.
Vi sono alcuni pseudoartisti – di cui per decenza si tace il nome, ma chi conosce sa – che oggi stanno
cercando di desacralizzare temi religiosi con tecniche e forme post-moderne, attraverso graffiti,
caricature fumettose del sommo pontefice o, peggio ancora, con accozzaglie di lamiere arrugginite
impunemente esposte nei giardini vaticani.
Ebbene, questi sedicenti artisti che non hanno né arte né parte, che devono alle loro capacità di
network e public relations la loro effimera fama attuale, dalle generazioni future verranno derisi e poi
dimenticati.
Barbara Farabecoli, invece, no. Quando internet crollerà e i follower dei plebei su instagram cesseranno
d’esistere, quando le future generazioni, nauseate da questa oclocrazia chiederanno a gran voce ordine,
bellezza ed armonia, le sue imponenti creazioni in pietra, metallo e vetro continueranno a meravigliare
le genti ed innalzarne gli occhi verso al Cielo.

L’arte è via pulchritudinis, ossia strada ascendente che tramite la bellezza dall’uomo conduce a Dio e non
può – e non dovrebbe- essere il contrario. Ogni volta che una tematica sacra viene profana, imbruttita e
degradata per “piacere alle masse” si compie vilipendio, proprio come quei creativi che per rendere
fruibile l’arte religiosa alle moltitudini – ohi polloi- la rendono shoccante. Walter Benjamin l’aveva ben
capito: l’aura di un’opera d’arte è data dalla sua bellezza, dalla sua irriproducibilità tecnica, e il suo valore
più profondo non può avere come metro di misura lo shock che crea nell’osservatore.
Ebbene, di fronte alle vetrate della Farabecoli con l’Arcangelo Michele, alle sue tele con la Vergine
Maria, ai suoi ammalianti altari ornati con mosaici preziosi, ai suoi affreschi con tematiche bibliche non
solo se ne avverte l’aura, ma se ne rimane meravigliati ed estasiati. La sua arte, come quella del Giovanni
Gasparro, è per noi uomini porta che conduce al Mistero della fede, benedizione dei sensi che ci innalza
l’anima. La Meraviglia, in greco Thauma – miracolo- suscitato dalle sue creazioni è redenzione per tutta
l’umanità: lei, in mezzo a tutte queste pecore matte, è ancora in grado di creare opere nobilitanti Dio e
non il proprio ego o quello di un avido gallerista e questa sua preziosa testimonianza, come quella di un
singolo giusto nella perdizione delle città di Sodoma e Gomorra, è salvezza per tutto quel piccolo resto
che, a fatica, cerca di non smarrirsi nell’esilio babilonese del terzo millennio.