Arte

Giacometti, la Svizzera e l’arte, di padre in figlio

Non è questione di genetica ma a volte l’arte si tramanda di padre in figlio. Perché l’arte ispira e se uno la respira anche per tutta l’infanzia allora non può che imparare a vivere di essa. “Vuoi diventare pittore? mi chiese mio padre. Pittore o scultore, risposi. Mi consigliò di andare all’Ecole des Beaux-Arts di Ginevra, consiglio che seguii… per tre giorni”. È il racconto di Alberto Giacometti, il grande scultore, figlio di Giovanni, noto colorista. Di padre in figlio l’arte si trasforma, ma parte sempre da una fortissima passione per il disegno e da un grande legame con la propria terra.

Giovanni Giacometti nasce nella Val Bregaglia e fa del paesaggio natio soggetto di molte sue opere. Come i contemporanei svizzeri, si sposta: vive a Monaco dove conosce Cuno Amiet, e poi a Parigi, viaggia anche in Italia, ma torna sempre all’intimità della sua valle, a quei monti, a quella luce. È qui che incontra Giovanni Segantini con cui condivide la passione per i paesaggi alpini. Nella sua produzione, anche autoritratti, figure e nature morte. Opere che mostrano quanto Giacometti si lasci ispirare dalle correnti artistiche moderne, impressionismo, divisionismo, puntinismo, e soprattutto dai rapporti con Amiet, Segantini e Ferdinand Hodler. Tuttavia, in una ricerca continua, rielabora tutto secondo una chiave personale. Al centro della sua pittura, il colore e la luce. “Nel dipinto – afferma – il colore deve diventare luce, e forma e vita”. C’è la luce, il paesaggio e il colore, dal fortissimo potere espressivo, nell’opera Sera sull’alpe esposta a Palazzo Reali, nell’ambito della mostra “Presenze d’arte nella Svizzera italiana”.

È questa l’atmosfera che vivono i suoi figli, primo fra tutti Alberto, che come il padre gira il mondo ma poi torna sempre alle sue radici: la madre Annetta, la Val Bregaglia, il fratello Diego suo fedele assistente e primo modello. Studia brevemente a Ginevra, visita Venezia, Firenze, Roma, e nel 1922 si trasferisce a Parigi. Approda alla scultura sotto le influenze del cubismo ma tutto cambia quando nel 1931 realizza la Boule suspendue: una sfera di gesso poggiata su una base che pare una falce di luna, tutto racchiuso in una gabbia aperta. Un equilibrio precario, un tono giocoso che colpisce Dalì e Breton. È la sua fase surrealista, quella che gli dona fama internazionale, fase presto interrotta fra le polemiche quando Giacometti dichiara di voler tornare al vero, alla “rassomiglianza assoluta”.

In questi anni si concentra sullo studio della testa, soprattutto lo sguardo lo ossessiona, vuole arrivare all’anima. Una sera del 1939, al Café de Flore di Parigi, conosce Jean-Paul Sartre. I due legano al punto da influenzarsi reciprocamente. Nascono le sculture in bronzo. Filiformi, allungate, le figure di Giacometti vagano nello spazio. Imponenti e al tempo stesso fragili, si slanciano verso l’alto eppure si assottigliano. Il loro volto scavato ricorda quello dell’artista. Sono sculture esistenzialiste, quelle che realizza fino all’ultimo dei suoi giorni. Alberto Giacometti è sepolto a Borgonovo, accanto al padre Giovanni.

Alessandra Erriquez

Relatore

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