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Ricordate? Il presidente era Clinton – 1999 aggressione alla Serbia

Scrivo quando mancano 11 giorni dalla fatidica data del 23 giugno, data alla quale i cittadini inglesi, scozzesi e gallesi si recheranno alle urne, in parte per esprimere la loro gratitudine ai plutocrati e burocrati di Bruxelles, che tanto hanno fatto per garantire prima il proprio e poi l’interesse dei restanti comuni cittadini europei, in parte per dar sfogo ai propri umori di eterni e ingrati scontenti. A giudicare dalle reazioni ai sondaggi dei suddetti plutocrati e burocrati si potrebbe temere che a prevalere siano gli scontenti, ma personalmente continuo a sperare che i britannici finiranno per capire che devono restare nel gregge per permettere la continuazione dell’opera di risanamento delle fondamenta di un castello di sabbia, quello dell’UE, costruito sulle sabbie mobili, o su ghiaccio sottile, come direbbero i tedeschi.

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Mi sono sempre chiesto, senza potermi dare una risposta, quale sia il motivo che impedisce al Signor Mario Draghi, e con lui a tutti gli apprendisti stregoni delle banche centrali di tutto il mondo, di stampare almeno un milioncino di euro (o l’equivalente in dollari, yen, renmimbi, corone, lire sterline, franchi e quant’altro) in favore di tutti i cittadini del mondo con diritto di voto, anche di quelli che non potranno mai votare perché provvisoriamente sottoposti a regime dittatoriale. Milioncino attribuibile almeno annualmente, se non se non tri- o semestralmente. Sarebbe la panacea della crisi che attanaglia oramai tutto il pianeta, con una immediata rimessa in moto dei consumi, la subitanea possibilità di chiusura della casse di disoccupazione per mancanza di clienti, l’azzeramento rapido del debito detto sovrano grazie agli esorbitanti incassi fiscali, visto che un reddito di un milione garantito dalle banche centrali comporterebbe la scomparsa automatica dell’evasione. Tutti si permetterebbero vacanze alle Seychelles o altrove, il turismo ripartirebbe alla grande e, in assenza di personale alberghiero perché tutti sono oramai milionari, rimarrebbe pur sempre la possibilità del “servisol” e di rifarsi ognuno il proprio letto.

Il lettore potrebbe adesso pensare ad un mio eccesso di libagioni o ad un colpo di calore in questa fredda e piovosa primavera. Invece no. Alla moneta, cartacea o virtuale, da regalare ad ogni cittadino con diritto di voto reale o virtuale (quello che si ha, per esempio, nei regimi dittatoriali, purtroppo sempre presenti e attivi su questa terra, o nell’UE, quando non si tratti di exit, che se fosse per Bruxelles non si voterebbe mai), si è già attribuito un nome: “moneta elicottero”, con particolare riferimento all’euro.

Leggo, del Prof. Thorsten Polleit, docente universitario di politica monetaria a Francoforte, su “Schweizerzeit” (un economista di cui ho letto molti articoli, sempre caratterizzati da ragionevolezza e pragmatismo inoppugnabili): “In Fachkreisen diskutiert man bereits eifrig …..”. Cosa si discute così sollecitamente? Proprio la “moneta-elicottero”! Da attribuire a stati o a imprese, ed eventualmente anche a singoli cittadini. Detto in altre e semplici parole si discute dell’ipotesi, della convenienza e di una concreta possibilità di aumentare il potere d’acquisto di tutti, persone e imprese, e di riuscire finalmente a mettere in moto l’inflazione. Quest’ultima, l’inflazione, è un vero e proprio falso semantico, mascherato sotto la parvenza di un aumento del costo della vita, mentre in realtà non è altro che un “dissanguamento progressivo” del risparmio. Falso semantico come quello del vocabolo “gratuito”, che dovrebbe significare che “non costa nulla”, mentre in realtà significa solo “pagato da altri”.

Si discute quindi di portare a compimento la marcescenza dell’euro, iniziata con il “bail-in” (salvataggio interno, tra banche, dalla BCE alle banche private) in favore di banche dal credito facile a spese altrui (vedi i troppi prestiti a Grecia, ma anche Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda, i cosiddetti stati PIIGS, dall’inglese pig, maiale). “Pig”, maiale, porco o suino, i nomi cambiano, ma la malabestia rimane quella.

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Ricordate? Il presidente era Clinton…  17 anni fa, il 23 marzo 1999, la Nato, come dire gli USA, aggredì su propria autonoma decisione la Serbia del dittatore Slobodan Milosevic, seppellendo il paese sotto un diluvio di bombe all’uranio impoverito. Nei ranghi dei soldati e poliziotti del dittatore i morti furono 1’008, tra la popolazione civile più di 2’500, tra i quali 80 bambini, dai neonati ai minorenni. Milosevic venne “affidato” al tribunale internazionale per i crimini di guerra dell’Aja, presieduto dalla nostra Carlina Del Ponte. Il processo si trascinò per le lunghe, potrebbe ancora essere in corso, con un altro presidente dopo il pensionamento della nostra eminente giurista, se non fosse che il Milosevic ebbe la cattiva idea, l’11 marzo 2006, di lasciarsi attingere da morte naturale. L’aggressione vera e propria ebbe inizio il 30 maggio, con la distruzione, da parte di due caccia-bombardieri F 16 della Nato, partiti se ben ricordo dalla loro base italiana di Verona, ma forse era da quella siciliana di Sigonella, del ponte di ferro di Varvarin.

Fu quello l’inizio, da mai dimenticare, della politica autonoma di aggressione e accerchiamento della Russia da parte della Nato, come dire degli USA. Una politica tuttora in atto, in Ucraina come in Georgia.

Gianfranco Soldati


Relatore

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