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Un Everest di panna montata – di Franco Cavallero

Il piano di studio che induce al fastidio (titolo originale)

Se a questo severo articolo qualcuno sentirà il bisogno di dare risposta, Ticinolive sarà lieto di concedere tutto lo spazio necessario.

Everest 2Everest 22015

Il nuovo piano di studio, che il DECS ha appena dato alle stampe e pubblicato nel sito internet del Cantone, dà luogo alle prime severe discussioni. Non arrivo a dire che provochi nausea (è stato peraltro scritto, non senza autorevolezza, da un professore in pensione, che lo ha letteralmente definito “nauseante”). Personalmente ritengo che tutta la materia debba essere sottoposta a un serissimo esame. Il Ticino non è mai stato intenzionato a tradurre in italiano il “Lehrplan 21” o il “Plan d’études romand”, sarebbe stato troppo intelligente, ma indegno di quel grande dipartimento educazione che da noi si è convinti di avere. Accettare con inerzia i programmi d’Oltralpe? Assolutamente no, no e poi ancora no. Si è proprio deciso che d’ora in poi non valgono più gli insegnamenti, ma contano le competenze. Infatti il Piano precisa fin dall’inizio, che “non si tratta più, come nel passato, di un programma d’insegnamento che elencava quali temi e argomenti andavano trattati nei rispettivi settori formativi”. Cosa è mai per gli illuminati la quisquilia dell’insegnare in confronto al “far apprendere”? Ogni cosa deve rivelarsi chiarissima per definizione, apodittica: ce lo dicono senza possibilità di replica gli addetti ai lavori: “per competenze si intendono le capacità di un allievo di saper affrontare situazioni conosciute o nuove mobilitando un insieme coordinato di saperi e di capacità/abilità con una disponibilità a coinvolgersi cognitivamente ed emotivamente”. C’è proprio scritto così, a pagina 7 del fascicolo. [Bisogna ammettere che è una bellissima frase, suona veramente bene; ndR]

Cavallero prof smCavallero prof smIn breve, sarà l’allievo che dovrà distinguere le situazioni conosciute da quelle nuove, richiamare alla mente saperi e capacità che già possiede, coordinarli, e se proprio ce la fa ad andare oltre, mostrare l’interesse appassionato del ricercatore di novità. Che bei traguardi, ma che dico, ispirazioni divine, pedagogismo puro. In realtà il docente non dovrà più sussurrare verbo che assomigli anche solo lontanamente alle nozioni, visto che ogni ipotetica libera scoperta sarà competenza dell’allievo e non di altri. E allora, perché sprecare il fiato per chiedere al DECS che cosa si intenda coi vari costrutti, pietre angolari, prospettive metacognitive? Non si intende nulla, evidentemente, poiché il linguaggio normale delle persone normali è vero per queste ed estraneo se non falso per chi vive nell’empireo. Laddove iniziano le scienze esoteriche non si abbassano mai gli sguardi sull’umanità concreta. È questa la dicotomia che ha portato da ormai molti anni a un senso di schifiltà molto diffuso nel corpo docente; non saprei dire con quali percentuali poiché alla categoria eletta del magister non appartengo più da tempo; immagino però che anche oggi non sia difficile per un insegnante essere scontento e non poterlo ahimè confessare ai suoi superiori. Ci si mette un cerotto sulla bocca, come facevano gli Antichi con coloro che sapevano già tutto e sdottoreggiavano dalla bigoncia.

Se mi è consentito aggiungere qualche altra considerazione sul Piano di studio, dirò che alla gente interesserebbe ciò che i giovani imparano a scuola. Ebbene, ci sono sempre le cosiddette “discipline di insegnamento”: italiano, lingue seconde, matematica, geografia, storia, scienze, per menzionarne solo alcune. Qua e là è indicata addirittura la progressione delle competenze. Alla fine della seconda elementare si dovrebbe avere incrementato “la coscienza fonologica”. In quinta “cogliere i nessi logici” [dei testi], comprese “le analessi e le prolessi”. In quarta media via con gli “aspetti paragrafematici alla comprensione del testo”. Supponiamo che tutto questo l’abbia ordinato il medico; il lettore comune tuttavia si chiederà come far imparare propedeuticamente ai figli a leggere e scrivere, far di conto, e tutto ciò che era evidente ai nostri padri, nonni e bisavoli. E chi preferirà l’aritmetichetta all’italiano, si chiederà come sia possibile in quarta media “tradurre una situazione in diversi linguaggi semiotici, in particolare aritmetico o algebrico, sotto forma di espressioni, equazioni e sistemi, applicando concetti matematici adeguati, al fine di determinare una procedura risolutiva” senza avere imparato dapprima le quattro operazioni, il calcolo semplice, magari la risoluzione dei problemi di compravendita, e via di questo passo.

Molti esempi ancora si potrebbero spiattellare su quello che appare come un Everest di panna montata. Ma è superfluo; vi sono semplici osservazioni che chiunque può fare, perché nella Bibbia dei programmi mancano i fondamenti, la chiarezza espositiva e la concatenazione degli elementi. La catena dell’istruzione non solo è spezzata, ma spesso non se ne vede nemmeno il primo anello. Tipico del contadino che vuole avere un raccolto senza nemmanco seminare.

Franco Cavallero

Relatore

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