Isaak Brodskij. Cerimonia di apertura della Terza Internazionale (1921-24)
Credevano nell’arte e nel suo valore educativo ma poi, “si sa che i rivoluzionari sono spesso più formalisti dei conservatori” lo diceva Italo Calvino. Si può riassumere anche così l’evoluzione dei realismi socialisti che seguono strettamente, e a loro volta influenzano, la storia di lungo periodo della Russia. Storia di un legame, fortissimo, tra potere arte cultura.
Quando nell’ottobre del 1917 Lenin salì al potere, società e cultura avevano un unico obiettivo: la costruzione dell’homo novus che nasceva dalla rivoluzione. L’arte aveva in questo un ruolo essenziale, si poneva come strumento principe di educazione del proletariato. Il Novecento era iniziato come il tempo delle avanguardie russe, correnti di per sé rivoluzionarie in grado di rompere con il tradizionale realismo ottocentesco. Primi fra tutti, Malevic, Kandinskij e Tatlin. Quest’ultimo era stato a Parigi dove aveva conosciuto Picasso ed era entrato in contatto con i Futuristi, tornò in patria con nuovi materiali e nuovi mezzi espressivi. Fu Aleksandr Rodchenko a raccogliere tanti e tali spunti d’innovazione.
Ma astrattismo e costruttivismo avevano un grande limite: peccavano di immediatezza e dunque non potevano rispondere a quell’obiettivo, ineludibile, di formazione della classe emergente dei proletari. Così queste correnti, seppur validissime, furono presto isolate e screditate, in luogo di un realismo che fu la corrente quasi esclusiva tra il 1920 e il 1970.
Il realismo socialista, ufficialmente, nacque nel 1932. A quel punto era chiaro ciò che il partito si aspettava dagli artisti: la rappresentazione di concetti come la fedeltà al partito, l’ideologia e naturalmente il radioso avvenire della società. Ci fu qualche tentativo di mimetizzazione degli avanguardisti, come Malevic che dipinse un quadro dall’impianto realista, Sportivi, ma con figure anonime e colori estranei alla pittura realista. Nel frattempo, però, a Lenin era succeduto Stalin, totalmente rigido nei confronti di chi non si conformava a quella che oramai era una vera e propria pittura di regime. Negli anni del Terrore, pittori di regime erano Isaak Brodskij, autore de La cerimonia di apertura del II congresso della III Internazionale, e Sergej Gerasimov, che anche a parole sintetizzò bene l’arte dell’epoca: “socialista nel contenuto e realista nella forma”.
Quando le truppe naziste invasero il Paese, la Grande guerra patriottica divenne naturalmente il tema principale. Paradigmatico, il ritratto del maresciallo Zucov trionfante sui vessilli nazisti, dipinto da Jacovlev. Il realismo celebrava le vicende belliche con un fortissimo sentimento nazionale, strumentale anche all’unificazione del popolo di fronte a una progressiva perdita di fascino dei precetti socialisti. Infatti, anche quando con la fine del conflitto si sperava in una riconquista della libertà espressiva, le speranze furono presto spente da una serie di decreti che nel 1946 stabilirono che l’arte, come la società, non poteva avere conflitti e doveva combattere il mondo corrotto e decadente. La politica del dopoguerra era dettata da Zdanov, capo del partito di Leningrado. Lo zdanovismo si tradusse in arte con immagini edulcorate della società, dove il lavoro coincideva con la felicità, come nell’opera Pane di Tat’jana Jablonskaja.
Il ritorno al tema della quotidianità, tuttavia, trovò particolare forza quando con l’avvento di Kruscev prese il via la fase di destalinizzazione. La salma di Stalin fu rimossa dal mausoleo della Piazza rossa e il culto della personalità condannato. Fu il primo periodo di apertura verso correnti moderne, influenzate dall’impressionismo quanto dai murales messicani, dal plein air e dallo stile severo. La vita rurale non era più ideologizzata ma rappresentata con semplicità, come in Plastov e Gavrilov. Ne derivò una sorta di conflitto tra innovazione e conservazione che vide il suo apice quando Kruscev si trovò dinanzi ai Geologi di Nikonov, in mostra al Manège. L’opera, connotata da un’estrema semplificazione delle forme, provocò uno scandalo e con esso un ritorno alle rigide norme staliniste. Il realismo socialista, dunque, era ancora vivo. Ma qualcosa stava cambiando.
Nel 1964 Breznev prese il potere avviando una fortissima burocratizzazione dell’apparato statale e tornando di fatto a un regime stalinista, seppur non usando strumenti di terrore. Alcuni artisti ebbero il coraggio di intraprendere forme di controcultura clandestina, che presero il nome di Soviet Underground. Altri si concentrarono sulla narrazione bellica, che dinanzi al declino dell’utopia comunista tornò a essere tema preponderante.
Tuttavia la Grande guerra patriottica non era più solo l’evento della storia nazionale, perché al popolo come agli artisti erano chiari gli effetti drammatici della guerra tra morti e persone rimaste a casa. Lo raccontavano bene opere come Madri, sorelle di Moissenko. Il culmine del realismo socialista venne con il ciclo di opere di Gelij Koržev, Bruciati dal fuoco di guerra. I temi della perdita, del dolore, della separazione, venivano affrontati con enfasi suprema e tratti di eroismo. L’artista non mancava però di mostrare anche un lato per tanto tempo tenuto nascosto dalla cultura ufficiale, un lato umano. Per la prima volta si offriva l’immagine di un mondo interiore, individuale. Le tele di Koržev, così, rappresentarono il culmine del realismo socialista, ma anche la sua fine.
Nataliya Shtey Gilardoni