Nanà ha 18 anni, di professione è attrice e prostituta. Elena Muti ha venticinque anni, di professione contessa e prostituta.

Stiamo parlando di due celeberrimi personaggi femminili – l’una protagonista, l’altra deuteragonista e femme fatale – di due altrettanto famosi romanzi di fine secolo: Nanà di Emile Zola e Il Piacere di Gabriele D’Annunzio.

Questi due scrittori, entrambi italo-francesi (più precisamente, Zola francese di origini italiane, D’Annunzio italiano francesista) esprimono nei loro due capolavori la visione della Francia del Secondo Impero e della Roma Umbertina, più ironico Zola, più decadente D’Annunzio, eppure entrambi sulla stessa linea d’onda, pittori d’uno squisito disfacimento morale e culturale, al contempo “acculturatissimo”.

È di età che vogliamo parlare, un tema caro alle donne, poiché prima di loro è caro agli uomini. Saremo semplici, saremo brevi: la Nanà di Zola ha 18 anni. Di lei s’innamora Giorgio, uno studente di 17 anni. I due, quindi, sono coetanei, eppure Zola descrive la prostituta come una donna matura e lo studente come un bambino. Certo, tra i due c’è un abisso: Nanà ha già un bambino e di professione giace ogni sera con conti e principi che potrebbero avere l’età di suo padre o di suo nonno. Giorgio, invece, si fa pettinare dalla mamma e arrossisce quando gli si chiede che cosa abbia sul collo, dopo i baci ardenti di Nana.

L’Elena di D’Annunzio ha tra i venticinque e i trent’anni. Ad amarla è Andrea Sperelli, il quale avendo fama di grande amatore sin dall’inizio del Piacere di D’Annunzio, deve avere all’incirca la stessa età di Elena Muti. Eppure, nel romanzo Andrea viene sempre descritto come “il giovine”. Tutti i personaggi del libro concordano che debba essere “molto giovane”, mentre il narratore parla della sua “prorompente giovinezza”. Di contro, Elena viene sempre chiamata “la donna”. La donna e il giovine, dunque. Così è, se vi pare. Sino ad arrivare a parossismi che fanno un po’ ridere come, ad esempio “la donna baciò il giovine” (in D’Annunzio) o, quando, queste donne dicono all’amato coetaneo “sarò la tua mammina” (come in Zola).

Dietro tutto questo discorso c’è certamente un motivo antropologico: dal “test” di verginità prima delle nozze, che accertava la legittimità paterna del figlio che sarebbe nato, non esistendo allora i test di gravidanza né i test del dna (usato sia in epoca greca-romana, che medioevale, che moderna), al servizio militare che prestava l’uomo per 20 anni (soprattutto durante l’esercito romano), durante il quale non poteva contrarre matrimonio e, soltanto al termine (se sopravvissuto), poteva sposarsi: normale che la sposa fosse, dunque, di almeno 20 anni più giovane. Già, perché la vita adulta cominciava a 15 anni: sposandosi, per la donna, facendo servizio militare, per l’uomo, che soltanto dopo, si sposava, con 20 anni, dunque, di ritardo, rispetto alla donna. 20 di bonus “giovinezza”, permasi anche nell’età moderna.

Nanà immaginata da Manet nel 1877

Non avendo alcun ritratto di Elena Muti mettiamo questo bellissimo ritratto di donna Branca Florio di Giovanni Boldini