Sofia Coppola ritorna sulle biografie femminili, sulla vita di donne, reali o immaginarie. Dopo Il giardino delle vergini suicide (1999), Marie Antoinette (2006) e L’inganno (2017) – soltanto alcuni degli innumerevoli titoli girati da una regista di indubbio talento che si distingue per stile e raffinatezza – ecco Priscilla freschissimo, di quest’anno che ormai volge al termine, tratto da Elvis and I, pubblicato nel 1985 dalla stessa Priscilla Presley.

Le somiglianze tra Priscilla e Marie Antoinette sono molte, a livello di scenografia. La scena della vasca (allegorica per la solitudine), della roulette (allegoria, invece, della spensieratezza ma anche della perdizione) e le varie droghe. Solo che qui ce ne sono molte, molte di più.

Elvis (Jacob Elordi) è presentato qui come prigioniero della propria immagine e intossicato dai propri (strani) desideri.

è un Elvis diverso da quello di Baz Luhrmann (che pure era piaciuto molto alla vera Priscilla). Quello della Coppola é un Elvis schiavo sì del colonnello ma, soprattutto, delle proprie convinzioni.

Ama Priscilla perché è vergine, pura, incorrotta, sino ad arrivarne a calpestarne gli istinti primordiali, proibendone i suoi impulsi vitali di donna. Ama Priscilla solo perché rappresenta una rinata madre (che Elvis perde l’anno prima di conoscere Priscilla) ma contemporaneamente ha diverse relazioni con fans e con attrici, primis tra tutti la bionda star di Viva Las Vegas, la svedese Ann Margret. Arriva a sfiorare Priscilla, ad avere comportamenti violenti con lei, ma non la tocca fino al matrimonio.

E Priscilla? Presentata qui come una ragazza casta, vanesia, totalmente dedita all’uomo che sceglie di seguire in America (lasciando la Germania, dov’era di stanza con il padre, il colonnello Banlieu) e a dedicargli totalmente i suoi primi dieci anni di giovinezza.

Non c’è da stupirsi che Lisa Marie Presley, l’amatissima figlia di Elvis, chiese alla Coppola di ritirare un film che denigrava suo padre, ma non fece in tempo né a proseguire la richiesta né a vedere il risultato finale (è morta prematuramente l’anno scorso, a 54 anni).

Insomma, Priscilla è un film che vanta un’ottima ricostruzione del (sì tanto famoso) patriarcato anni ‘50, della psicologia femminile e delle scenografie di Elvis e sua moglie, che tutti conosciamo. Però, però non prende, non “afferra”. La Priscilla di Cailei Spaney è somigliante ma convincente e il film, nel complesso, non afferra.

Completamente dedito alle (controverse) memorie della Banlieu, incolpa totalmente Elvis. Però, al di là della veridicità o meno, è un ottimo spunto sulle “relazioni tossiche”. Certo, non c’era bisogno – forse – di scomodare Elvis, per parlarne. Ma altrimenti, chi ne avrebbe parlato?