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100.000 presenze necessarie? | di Tito Tettamanti

Parlo dei 100.000 delegati registrati che dal 30 novembre al 12 dicembre si sono riuniti a Dubai per la conferenza sul clima, COP28.
Per la correttezza devo confessare la mia avversione nei confronti del gigantismo e di riunioni con folle oceaniche, tipiche di regimi autocratici che vogliono testimoniare la loro forza, o talvolta nascondere l’insicurezza.
Comunque ho rivolto le mie perplessità ad un conoscente, tra l’altro chiedendo dove si possono riunire 100.000 persone. Vero che a Dubai è più facile perché c’è il deserto. Come colloquiano, che possibilità hanno di seguire i dibattiti e magari di farsi sentire? Con molta sufficienza mi è stato risposto che tutti i moderni alberghi di Dubai (140.000 camere) dispongono di attrezzature tecnologiche che permettono di partecipare ai dibattiti senza muoversi dalla stanza.
Vero, ma allora che bisogno c’era di fare migliaia di chilometri di volo (Dubai è difficile da raggiungere in bicicletta), se con i mezzi tecnologici odierni si puòpartecipare anche stando tranquillamente a casa propria?
Evitando inoltre l’inquinamento atmosferico con centinaia di voli da parte di chi ci rimprovera se per i nostri affari dobbiamo prendere l’aereo, o se la prendono con i turisti che volano, con indiscusso beneficio delle finanze di molti Paesi. Con l’occhio ammiccante da persona di mondo mi è stato risposto: ma il viaggio premio dove lo mettiamo? La delegazione del Brasile era composta da 9.000 persone. Inoltre vi è la possibilità di sentire oltre cento capi di Stato, convenuti a Dubai, e di ascoltare il loro “clima-pensiero” Non sono molto convinto che ciò possa costituire una giustificazione per la trasferta. Gli stessi capi di Stato arringano in continuazione, sia a livello internazionale che nazionale, milioni di persone con uno stuolo di mezzi di informazione che trasmettono e amplificano i loro interventi. Non siamo certo in crisi di astinenza.
L’andare a Dubai per essere con i grandi del mondo mi rammenta un amico che mi raccontava di aver passato la sera al Forum di Davos con il ministro USA Colin Powell. Ma precisava: eravamo in trecento ed io ero il penultimo vicino alla porta d’uscita.
Disarmato dal mio approccio da sempliciotto il mio interlocutore per tagliare corto mi invitò a non lasciarmi distrarre da dettagli e pensare per contro all’impegno e al risultato di questi incontri mondiali.


Documentandomi ho appreso che la prima di queste conferenze si è tenuta nel 1995 a Berlino, presenti 116 Stati, siamo con Dubai alla ventottesima riunione con l’adesione e il sostegno di 198 Stati. L’intento è quello diriuscire a ridurre le emissioni di CO2 (anidride carbonica) che da due secoli contribuiscono pericolosamente al riscaldamento della terra.
Ora leggo che ai tempi della prima conferenza di Berlino le immissioni di anidride carbonica venivano misurate in 23.5 Gigatonnellate. Purtroppo nel 2022 le immissioni non sono diminuite ma aumentate a 37 Gigatonnellate, più del 50%. Il che, dopo tutto il continuo dibattere, le misure prese dalle burocrazie, la continua opera di sensibilizzazione e le dichiarazioni (ipocrite?) di sostegnodegli Stati, rende perplessi.
La perplessità aumenta leggendo l’Economist che, dati alla mano, spiega come una manovra a tre, Cina, India e USA, sostituirebbe facilmente e con più efficacia gli incontri tipo Dubai.
Con la loro continua apertura di miniere di carbone, in considerazione delle esigenze del loro sviluppo economico Cina e India sono i grandi inquinatori. Si scusano dicendo che non possono farne a meno se vogliono raggiungere il livello dell’Occidente.
Detto tutto questo, e abbandonando il tono leggero, qualche conclusione va tratta.
Il problema è grave, anche se trovo da irresponsabili terrorizzare gli adolescenti predicando la fine del mondo tra un paio di decenni. Bisognerebbe evitare di irritare gli utenti con misure di dettaglio locali che hanno un impatto a livello mondiale del tutto trascurabile. Per contro bisogna cercare di ottenere, anche con aiuti e sostegno,la collaborazione di grossi inquinatori (tipo Cina e India),quelli che fanno veramente la differenza.
Poi, come per tutti i problemi di questo mondo, si dovrà trovare la mediazione e l’equilibrio tra gli interessi. Chi costruisce impianti eolici o fotovoltaici (che non sono la soluzione ma vi contribuiscono) è scettico nei confronti dell’energia nucleare nonostante sia priva di emissioni.Dal canto suo il ceo della Exxon, una delle maggiori produttrici di petrolio, si è schierato a Dubai per privilegiare l’idrogeno e “biofuel”.
Questo è il mondo, lo scontro tra attivisti convinti e preoccupati, ma talvolta dimentichi della realtà, burocrati zelanti con nuovi ampi campi di intervento, consumatori talvolta superreattivi nella difesa delle proprie comodità ed egoismi, produttori che giustamente perseguono il profittocon nuove attività, l’intervento di politici e Stati alla ricerca,anche con la distribuzione di sussidi, del consenso. Non è a Dubai in 100.000 che si troverà l’equilibrio.

Relatore

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