di Francesco Pontelli – 2 Dicembre 2023 – il Nuovo giornale nazionale
La presa di coscienza dell’ex presidente Mario Draghi, relativa al fallimento sostanziale dell’azione dell’Unione Europea lo porta, tuttavia, ad una strategia risolutiva la quale nega sostanzialmente le ragioni stesse della tesi.
L’idea che l’azione della Unione Europea possa migliorare solo con il maggiore accentramento di ulteriori e nuove deleghe politiche ed economiche dei singoli stati appartenenti, dimostra sostanzialmente una incapacità di comprendere le stesse motivazioni della difficoltà istituzionale Europea.
Solo la presunzione di una superiorità politica giustifica la mancata comprendensione di un progressivo rafforzamento all’interno dei singoli stati nell’affrontare una crisi post-pandemica e bellica. Una “tendenza istituzionale” la quale allontana sempre i medesimi dal centro istituzionale europeo come dalle sue imposizioni politiche ed ideologiche.
Questo rafforzamento di una forza politica centrifuga parte proprio dalla evidenza di quanto sia impossibile gestire uno stato federale composto da elementi istituzionali i quali hanno in comune una semplice volontà politica unitaria .
L’Unione Europea era nata come un accordo commerciale per un mercato unico, e l’errore clamoroso è stato quello di credere che si potessero unire popoli e nazioni sotto il tetto di una istituzione Europea delle comunità prive di elementi comuni se non quelli della vicinanza ideologica e di una convenienza politica.
Questa amara ma corretta considerazione non significa che sia inevitabile un ritorno al sovranismo monetario o politico. Prendendo atto, tuttavia, di un evidente sfaldamento della UE, come le recenti elezioni in Olanda hanno dimostrato, si rivelerebbe molto più appropriato, a differenza di quanto afferma Draghi, proprio per fermare se non invertire questo declino istituzionale, andareverso un maggiore riconoscimento delle “riserve politiche” da attribuire ai singoli stati: verso cioè quello che molti auspicano a livello regionale, cioè il riconoscimento di una maggiore autonomia dei singoli stati.
Un risultato che potrebbe essere supportato dalla creazione di un nuovo minimo comune denominatore fiscale, cominciando da una definizione di una aliquota fiscale complessiva (massima e minima) la quale impedisca il dumping fiscale all’interno della stessa Unione, e dall’altra preservi il potere d’acquisto delle popolazioni europee.
Se, come tutti concordano, l’Unione Europea si è rivelata assolutamente inadeguata alle risposte complessive ed articolate che il mercato comune richiede, la strategia dovrebbe essere rappresentata dal riconoscimento delle cause seguito da un cambiamento delle priorità.
Quindi, come logica conseguenza, si rende quantomai necessario per la stessa sopravvivenza di una istituzione Europea attivare una politica di maggiore riconoscimento delle “singole autonomie statali” unita a nuove regole fiscali e di libero mercato.
Di certo non si può combattere una tendenza centrifuga attraverso l’adozione di strategie sempre più centripete le quali rappresentano il motivo stesso della crisi della stessa UE.