Primo piano

L’ultima sfida 4

Ruben si guardò in giro e rimase sconcertato. Non sapeva cosa avrebbe dovuto aspettarsi, ma questo ammobiliamento era davvero sorprendente in una casa in un piccolo villaggio di montagna. La cucina arredata era bianca in stile classico francese. Non aveva avuto il tempo di notare i particolari mentre l’avevano attraversata. Nel salotto, poltrone di cuoio, antiche ed olandesi erano combinate con una vecchia credenza paesana molto dignitosa. Portava un enorme vassoio con servizio a caffè in argento decisamente barocco e di pessimo gusto. Uno di quei servizi Wiskeman che costano un sacco di soldi all’acquisto ed immediatamente non valgono più nulla perché mai a nessuno verrebbe la voglia di ricomperarli. Soldi buttati via. Era stato di moda cinquant’anni fa. I muri bianchi erano decorati con vecchie stampe, cartine geografiche e tele d’inizio dell’altro secolo. Il tutto, pure il tappeto tibetano di grossa lana, era in tonalità di Van Dijck Bruin abbinata a tessuti inglesi con grandi fiori a dominante rosa. Nelle vetrine erano esposte collezioni di porcellane di Bruxelles e di Kopenhaghen. Questo era forse un indizio interessante. Chi mai poteva amare le porcellane? Per terra c’erano mucchi di giornali e riviste: il Figaro, Newsweek, il Friday Times di Lahore ed il Point de Vue, images du monde.

-“Ecco!” – disse Charlotte, dopo aver velocemente buttato nella cesta della biancheria sporca, tutto quanto giaceva per terra. Non aveva indossato un bel vestitino, bensì aggiunto all’oscena camicia rossa a pois bianchi una specie di short larghissimo e lungo fin sopra il ginocchio, dal disegno a zig-zag verticale giallo e viola, completamente sbiadito, comperato 10 anni prima sul mercato di Fano.

Ruben non seppe se doveva complimentarsi per l’eleganza di questo accoutrement o fare finta di niente. Vestita così era ancora più indecente che mezza nuda. Per lui, che aveva fatto della sua vita un’apologia della bellezza e dell’eleganza del vestito, questo travestimento, peggiore di quello dei turisti americani, era proprio un offesa alla civiltà. Violette era sempre stata cosi elegante! Anche quando stava davanti ai fornelli, addirittura il suo grembiule sapeva di Haute Couture.

“Disturbo?…” azzardò Ruben.

“No, no… tutt’altro… ma come mai … que me vaut le plaisir de votre visite?…”

-“Well… – iniziò Ruben – a dire la verità… Ho un conoscente che era un mio cliente quando anch’io avevo un commercio. Ogni tanto  mi sento in dovere di comperare qualcosa nella sua confetteria. Così mi sono trovato con questa stupida scatola di marrons glacés di cui non saprei cosa fare. Insomma, per la mia salute… Sa come sono i medici… Mi sono permesso di immaginare che una signora che rischia la vita per un vasetto di confettura, potrebbe, magari, apprezzare i marrons glacés…”

Ovviamente, non desiderava spiegare la visita burrascosa dal suo amico medico. Questo aveva fatto una smorfia per dire che, insomma, c’era qualcosa con la glicemia che poteva andare verso il diabete… No no, non un diabete grave, solo quello che si chiama “diabete senile”… Era stato uno choc e Ruben aveva quasi gridato che lui, anche se aveva la pensione, non era senile! Ma l’amico medico non demordeva. Quella era la denominazione medica esatta: “diabete senile”. Era stato un cazzotto alla sua autostima. Quel “senile”, non l’aveva digerito.

“Indovinato! – disse Charlotte – Quelli italiani, no, quelli Vanini… per Bacco!!!” e tagliò il cellophan con lo stiletto apri-corrispondenza.

-“Hmmm! Sono proprio freschi… Che profumo! Sanno di Fabergé… Ma a proposito, che ora è? Sarà quasi ora del tè… Cosa posso offrirle, caffè? Con un marron glacé ci vuole un buon caffè, arabica garantito.”

“Purtroppo, se bevo tè o caffè a quest’ora, non dormo più… Un bicchiere d’acqua, acqua semplice…”

“Solo acqua? Sono già passate le 5 p.m. A quest’ora io posso permettermi un Gin… Lei no?… Piccolo ginepro, come la Queen Mum… Confidenza per confidenza: io ho sempre sofferto di anemia per cui, sono lustri che divoro bacche di ginepro. Fanno un po’ schifo ma il Gin, almeno non mi da mal di testa.”

-“Gin? A quest’ora…? – chiese Ruben…

-“Si, ma non una bottiglia per volta. Solo un bicchierino per volta. E poi non è Tanqueray, solo un leggero Gordon’s. Se la Queen Mum è vissuta fino a 100 anni, farà bene pure a noi.”

“Capisco perché ha questo teint frais da mimosa…” – disse Ruben.

-“Aaah!!! – esclamò Charlotte estasiata- le mimose… ah! certo… Squisito! “Drôle de Drame”! Quel film è un mio preferito!”

-“Il vescovo anglicano!… – disse Ruben ridendo in modo complice – Quel vescovo anglicano! Ma sì! Gin anche per me, ma solo un dé à coudre… Devo guidare e la strada è lunga…”

-“Mon Dieu! – disse Charlotte – “Drôle de Drame”, quel film di Marcel Carné, l’avevo dimenticato… Devo avere la cassetta da qualche parte…”

Così iniziarono a chiacchierare fin quando Charlotte interruppe dicendo:

-“Il grande caldo è passato. Potremmo sederci sulla terrazza… Finalmente si respira. Ecco, la casa offre pane vero fatto dal nostro panettiere, che detto per inciso, è il migliore del Ticino; formaggio dell’alpe Porcareccio che, lui invece, è il migliore della Svizzera. Ci deve essere pure una bottiglia di vino, Villa Jelmini della Matasci.  Come dessert: marrons glacés… Non posso garantire che sia tutto kasher, ma in caso di pericolo di morte à l’impossible nul n’est tenu…”

-“No, non vorrei abusare… non avevo previsto…” rispose Ruben sorpreso.

-“Nemmeno io avevo previsto. Non ho altro da offrire perché qui la vita è spartana. Non cucino e della vostra cucina so solo che è incomprensibile per un QI normale.”

-“Come fa a sapere delle nostre regole?”

-“Ebreo? No? Non sarà mica convertito ad una qualche altra setta?”

-“Ebreo… si…”

-“Guardi, per me è questione di coscienza… Se lei parte adesso con la macchina, dopo aver bevuto mezza bottiglia di Gin, finisce in un burrone. La colpa sarà mia… C’è ben la Madonna delle Sponde che ha salvato miracolosamente Don Alberto, ma lui aveva bevuto vino da messa… Non so se la Madonna farebbe lo stesso miracolo per un ebreo…”

-“È forse meglio essere prudenti e, visto così, mi sento costretto ad accettare…”

Andarono sulla terrazza. Anche il vento si era calmato. La brezza calda spazzava l’afa del giorno e portava ondate di profumo di uva americana quasi matura. A destra una siepe di gelsomino bordava la terrazza. A sinistra stavano pini mughi in grandi vasi di terracotta come enormi bonsai. Tutto attorno fiorivano rose, gerani ed altri fiori gialli che potevano essere varietà diverse di girasole o margherite.

-“Mi fa pensare ad una canzone.” disse Ruben.

-“Erev shel shoshanim, netze’ na’ el habustan…” canticchiò Charlotte e per rispondere al suo sguardo sorpreso aggiunse:

-“Eh si, una serata tra le rose, andiamo nel giardino… Quando ero in pensionato, avevamo delle compagne sefardite…”

Due lungi assi di larice appoggiati su cavalletti di legno formavano una tavola e le sedie da giardino erano disparate. Il crepuscolo stava risalendo lungo le valli. Le cime delle montagne erano ancora illuminate. Il cielo non era abbastanza scuro per lasciar apparire le stelle. Era quasi sera. L’ombra si stava lentamente installando. Passò qualche rondinella e presto sarebbero arrivati i pipistrelli.

-“Che tranquillità, che silenzio… – disse Ruben – che solitudine anche…”

Poi andò verso la balaustra di ferro battuto e guardò i giardini sottostanti e più in basso la campagna coi i prati ed i vigneti.

-“Il suo giardino?”

-“Anche il mio… Ormai qui a fianco di montagna sono giardini sospesi… Babylone…”

-“Molto lavoro…”

-“Non direi, piuttosto, molta soddisfazione. Forse è la più grande soddisfazione nella vita: si pianta un seme, questo germoglia e dà fiori.. Oppure gli alberi: fioriscono, danno frutta, crescono…”

-“Ci sono anche alberi? ”

-“Si, abbiamo piantato meli e peri a spalliera, ciliegi, peschi… forse di più per la loro fioritura che per la loro frutta. La primavera è magnifica ed i colori dell’autunno sono splendidi.”

-“Ma non si sente troppo sola…”

-“No, c’è il cane, i gatti, tanti uccelli e poi anche gli umani della famiglia che vanno e vengono…”

-“Comunque è straniera….”

-“Si è sempre straniero…”

-“Gli indigeni?”

-“Non sono cattivi ma sono completamente associali….”

-“Aha – pensò Ruben – quello l’ho già sentito, ma nell’altro senso…”

-“Nessun contatto?”

-“Si, si… anzi, molti contatti, ma è difficile trovare un interlocutore che abbia un’opinione personale sulla scelta di Icaro…”

Intanto Charlotte aveva portato sottopiatti di cottone con motivi tirolesi, posate e vivande, bicchieri e Villa Jelmini.

-“Chi le ha venduto questo vino?” – chiese Ruben scherzando.

-“Al negozietto si prende quello che c’è…”

-“Già… vino per turisti…”

-“È vino nostrano, patriottico. Non vuol mica comperare vino straniero? E poi, seconda regola della casa: chi non è soddisfatto da ciò che passa in convento, rimedi alle manchevolezze… Io di vino non so niente… So solo che, all’indomani, ho l’emicrania o no… Per cui, se questo vino non le va bene, la prossima volta, porti qualcosa di migliore…”

-“Aha, – pensò Ruben- allora è possibile che ci sia una prossima volta…”

I pipistrelli passavano in spericolati looping e nel fondo della valle cantavano civette.

-“Comunque, – riprese Ruben – questa valle è rinomata per i suoi abitanti celebri, scrittori, artisti… ”

-“Bè si… niente di strano. Arrivano qua e trovano un posto abbastanza silenzioso per poter lavorare, dipingere, scrivere, pensare.”

Cominciava a fare frescolino. Charlotte andò a prendersi uno sciale di grossa lana e presentò un cardigan di mohair dicendo che era pure lui messo a disposizione dei visitatori.

-“Complimenti per il pane… è squisito!”- commentò Ruben dopo aver indossato il pullover.

-“Si, – disse Charlotte – è bello morbido…” senza aggiungere che, alla sua età, qualche dente mancava e le sue gengive erano diventate sensibili.

-“Nemmeno a me piacciono le croste troppo dure.”- precisò Ruben che difatti portava un quarto di vera protesi.

-“È abbastanza naturale… Fatto in casa è ancora migliore, ma per me da sola…”

-“È tanto lavoro.”

-“Sopratutto il tempo speso a cucinare è perso per fare altro.”

-“Il giardino?”

-“Si, il giardino, scrivere, dipingere…”

-“Scrive tanto?”

-“Scrivo testi che nessuno pubblica e dipingo tele che nessuno espone… È una specie di zen…”

-“Che le permette di evitare l’ulcera dello stomaco…”

-“Esattamente…”

Tutti e due pensarono ai dispiaceri, alle restrizioni dietetiche ed ai piccoli malanni che crescevano ogni giorno. Poi Ruben pensò con malinconia a Violette che era stata una cuoca meravigliosa. Ecco, ritrovare una donna che fosse capace di cucinare come lo faceva Violette… Con lei non aveva mai dovuto accontentarsi di pane e formaggio.

Sopra il Monte Tamaro si era alzato una sottile falce di luna accompagnata da una stella molto brillante.

-“Non è una stella – precisò Ruben – è un pianeta… è Marte… il rosso, il sanguinario, il Dio della guerra. In questi giorni è vicinissimo alla terra…”

-“Che sia colpa sua tutta quella irrequietezza?”

Poi scivolarono in considerazioni metafisiche e finirono per discutere la differenza dei significati tra Rab e Mar… Come mai erano andati a parlare di nozioni così sofisticate? Si, cos’era la differenza tra signore e maestro? Ovviamente Ruben era versato in materia e Charlotte era incantata. Ma cosa c’entrava con una cena rustica di pane e formaggio?

Guardarono i pianeti e le stelle. Ascoltarono le civette ed i pipistrelli ed assaporarono i profumi di uve, fiori ed erba appena tagliata. Poi Ruben si congedò mentre Charlotte ringraziava ancora per i marrons glacés.

-“È stata una bella serata…”

Si, era stata una bella serata.

Charlotte ricondusse il suo ospite fino alla sua automobile.

-“Caspisterina! – esclamò Charlotte – cruscotto di legno prezioso, sedili di cuoio, questa non è una macchina è un boudoir!”

-“Si, – disse Ruben – ho deciso di morire povero come lo fanno i grandi santi…”

-“Io vivo già da povera! – replicò Charlotte – Ho addirittura una macchina di carta pesta… Sa come ho fatto a comperarla? Ho mandato un fax a 10 rivenditori ed ho chiesto quale era il loro modello più buon mercato. Poi ho ordinato un esemplare dipinto di bianco…”

-“Ma come mai… se posso permettermi questa indiscrezione… quello, come dire… quella discrepanza tra l’ambiente e …”

-“Quello – tagliò Charlotte ridendo con una piccola sfumatura d’amarezza – è la storia della mia vita. Famiglie facoltose e figli sciagurati… Sono una figlia sciagurata di buona famiglia…”

-“Ecco – pensò Ruben – avevo proprio ragione: questa è una sessantottina…

4 continua
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