Se nata in epoche migliori, sarebbe potuta essere la modella perfetta per un busto romano della dinastia dei Severi, o di una madonna bizantina. Invece, Armita è morta sotto i colpi dell’integralismo religioso contemporaneo.

Armita Geravand aveva 16 anni, 28 giorni fa era nella metropolitana di Teheran, ma si era scostata il velo dal capo, per mostrare la propria giovinezza, libera da estremismi.

Una guardia della metro le è andata di fronte, e ha iniziato ad aggredirla. Come aveva riportato l’agenzia iraniana Borna, la ragazza aveva subito sin da subito la morte celebrale.

I capelli corti si erano tinti di sangue, e lo sguardo luminoso sul bel volto truccato all’Occidentale si è spento per sempre.

Alla madre Shahin Ahmadi era stato impedito di entrare all’ospedale Fajr di Teheran per vedere la figlia e, dopo le sue proteste, era stata trattenuta in custodia.

I medici avevano informato la famiglia di Armita che le sue condizioni erano disperate.

Il regime dell’ayotallah Ali Khamenei molto rigido in nome della religione, aveva obbligato i medici a tenere in vita la ragazza, nonostante il coma farmacologico, perché temesse nuove manifestazioni contro le leggi islamiste, come già erano successe durante le proteste di piazza scoppiate dopo la morte di Mahsa Jina Amini, la 22enne curda arrestata dalla polizia morale del Paese perché indossava male l’hijab e morta dopo le percosse subite nel centro di reclusione.

Come la 16enne, anche Mahsa era stata ricoverata in ospedale, dove era morta tre giorni dopo diventando la miccia che fece scoppiare la rabbia del movimento che dal settembre 2022 sfilò in strada al grido di “Donna, vita, libertà”.

Ali Khamenei non è altro che il successore dell’ayatollah Khomeini che prese il potere l’8 marzo del 1979 (per ironia della sorte proprio nel giorno della festa della Donna) e impose leggi severissime e integraliste, come l’imposizione del velo alle donne e alle bambine. Prima, invece, le universitarie portavano la minigonna.