Svizzera

I ladri di polli in carcere, i “bancarottieri” sempre liberi

Il 19 marzo scorso, il Credit Suisse, precedentemente annoverato qualeazienda cardine dell’economia svizzera, è giunto al suo triste epilogo a causa di ricorrenti scandali, pessimi risultati finanziari e gravi carenze riguardo alla gestione dei rischi. Tali eventi hanno gravato alla reputazione dell’istituto bancario risultando nella perdita di fiducia dei clienti e dei mercati finanziari. Tra i diversi avvenimenti figurano per esempio il coinvolgimento del Credit Suisse in attività dipedinamento verso i propri dipendenti (casoIqbal Khan), il crack di diversi investimenti finanziari (Greensill Capital e Archegos CapitalManagement) ed il promulgarsi di continue inadempienze alle norme diantiriciclaggio e anticorruzione (caso Tuna bonds e Suisse secrets). Purtroppo, questa promessa non è mai stata mantenuta.

Déjà vu! Il 16 ottobre di 15 anni fa la Confederazione e la Banca Nazionale Svizzera intervennero mediante un salvataggio pubblico di 60miliardi di franchi per preservare l’UBS. In seguito a questa operazione, i politici e gli alti funzionari delle nostre istituzioni ribadirono l’impegno a non dover mai più affrontare una situazione simile. La promessa era che mediante l’implementazione di rigorose misure legislative si sarebbero limitati i rischi economici provenienti da alcune banche troppo grandi per fallire (too big to fail) e si sarebbe evitato di ricorrere ad ulteriori aiuti pubblici.

Nonostante l’inasprimento della regolamentazione bancaria mediante il rafforzamentodei fondi propri, i requisiti di liquidità, misure relative alladistribuzione dei rischi, alla trasparenza e alla vigilanza non si èriusciti a disincentivare la presa di rischi oltremisura, in quantosempre in fondo rimaneva il presagio di un salvataggio pubblico. Nerisulta che le istituzioni finanziarie di rilevanza sistemica godonooggi più che mai di un’implicita assicurazione anti-fallimento, unagaranzia dello Stato, un privilegio non retribuito e senza basegiuridica, che distorce le regole del mercato e conferisce loro un notevole vantaggio competitivo.

Successivamente alla crisi dei mercati finanziari del 2007-2008, è stataistituita l’Autorità Federale di Vigilanza sui Mercati Finanziari (FINMA) incaricata di garantire la tutela dei clienti del mercato finanziario e di assicurarne il regolare funzionamento. È innegabile,dal mio punto di vista, che la FINMA abbia manifestato gravi lacune nel suo ruolo di vigilanza ed enforcement. Tuttavia, è importantesottolineare che quest’authority non è mai stata investita di poteri sanzionatori proporzionali rispetto alle grandi istituzioni finanziarie che è tenuta a supervisionare. Se da una parte la FINMA non ha alcuna base giuridicaperemettere condanne superiori ai 250’000 franchi,d’altro canto i regolatori esteri, come per esempio quelli statunitensi, godono sia della possibilità di emettere multe che raggiungono le diverse centinaia di milioni di dollari, sia di procedere ad una responsabilità penale sostanzialmente diversa da quella contemplata dal Codice penale svizzero, ad esempio per quanto riguarda i reati di
bancarotta fraudolenta.

In considerazione di quanto sopra riportato sorge il legittimo dubbioche la classe politica non abbia ancora saputo né voluto reagire adeguatamente all’indignazione e alle aspettative dei cittadini. Già nel
2011, durante i dibattiti sulla revisione della Legge sulle banche presso il Consiglio degli Stati, Dick Marty ha ribadito che coloro coinvolti in queste follie finanziarie spesso rimangono nella più totaleimpunità. Impunità che negli anni si è palesata sia a livello nazionale, con il fallimento prima di Swissair e poi di UBS, sia a livelloticinese, con il fallimento della BSI e della Darwin Airlines. Ritengo dunque che non vi siano i presupposti per supporre un esodo diverso per quanto concerne il fallimento tecnico del Credit Suisse.

È proprio la reticenza della classe politica riguardo la contemplazione di pieni poteri sanzionatori e di una revisione del Codice penale per una maggiore severità nella responsabilità in materia di reati finanziari che solleva il sospetto di una volontà di garantire impunità a una determinata casta che non paga mai per la sua responsabilità ed inmolti casi incompetenza. Negli ultimi 20 anni, la classe politica ha dimostrato un atteggiamento servile e sottomesso a poteri finanziari, persino quando questi si sono dimostrati fallimentari se non addiritturacriminogeni. La realtà è che a pagare sono innanzitutto i dipendenti di queste società e successivamente l’intera cittadinanza.

Simone Conti, candidato No. 4 al Consiglio degli Stati per Costituzione Radicale

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Simone Conti
Tel: +41 76 537 66 74

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