
Il primo ministro israeliano Netanyahu ha innescato probabilmente la più importante crisi politica nella storia di Israele. Le proteste di massa contro la riforma giudiziaria hanno riempito le strade per mesi, e il voto di lunedì alla Knesset ha suscitato aperta resistenza non solo da parte degli ebrei progressisti e laici.
La coalizione di Netanyahu ha approvato la prima di una serie di leggi che limita i poteri della magistratura israeliana. La Corte suprema non potrà più impedire al governo di intraprendere azioni che i giudici ritengono incoerenti.
In Israele i tribunali sono praticamente l’unico vincolo al potere del governo. Non esiste difatti una seconda camera parlamentare, e Israele non ha una costituzione in un unico documento. Ha una serie di leggi fondamentali che sono state promulgate nel corso degli anni, le quali delineano le strutture di governo, i diritti dei cittadini e altri aspetti della vita dello Stato. La prima legge fondamentale è stata promulgata nel 1958, quella sul parlamento monocamerale composto da 120 membri eletti ogni quattro anni tramite un sistema proporzionale (più un seggio vuoto in memoria di Theodor Herzl, fondatore del sionismo e considerato il padre di Israele).
La Knesset è un luogo importante per la democrazia israeliana dove vengono discusse e approvate le leggi che governano il Paese. Il voto di lunedì è stato definito un “golpe giudiziario” mirato a indebolire l’indipendenza della magistratura, sottoponendola al controllo del potere politico.
Quello che ha alimentato le proteste, è la modifica che consente alla Knesset di ribaltare le decisioni della Corte suprema con una maggioranza semplice di 61 voti sui 121 seggi. Uno scenario agevole per la maggioranza di Netanyahu che è forte di 64 seggi.
Ma il conflitto sui piani del premier di rivedere il sistema giudiziario, sta portando a nuovi livelli di disobbedienza civile e potenziali rischi per la sicurezza.
Ci sono preoccupazioni nell’esercito che le proposte del governo Netanyahu, possano esporre gli ufficiali a procedimenti giudiziari internazionali. Israele non è un membro del tribunale penale internazionale, ma sostiene il proprio sistema legale ad indagare sulle accuse di illeciti da parte delle forze armate. Oggi il numero di incriminazioni nelle indagini israeliane è molto basso.
Questo mese più di 10 mila riservisti hanno firmato una lettera pubblica in cui si afferma che avrebbero chiesto di essere licenziati se la coalizione avesse portato avanti il primo elemento importante della legislazione, come appunto è successo approvando lunedì il testo con 64 voti a favore e l’opposizione che si è astenuta per protesta.
Se i riservisti manterranno quella promessa, sarà un’azione collettiva che potrebbe compromettere gravemente la prontezza operativa delle Forze armate dello Stato di Israele (IDF) che svolgono un ruolo importante nella difesa del Paese durante i suoi conflitti armati.
I media israeliani hanno riportato che l’intelligence aveva avvertito Netanyahu almeno quattro volte prima dell’approvazione del disegno di legge, del fatto che l’Iran e il gruppo militante libanese Hezbollah vedevano un’opportunità storica nella crisi interna di Israele, citando una grande “erosione nella deterrenza di base”.
Non è chiaro se Netanyahu e il suo gabinetto abbiano compreso appieno la crisi in atto nelle forze armate. Il primo ministro israeliano, che è stato un ex capitano di un’unità d’élite delle forze speciali, è stato particolarmente critico nei confronti dell’opposizione proveniente dall’IDF, sottolineando che sono i militari a prendere ordini dal governo e non il contrario in una democrazia.
L’esercito non è l’unico problema di Netanyahu. Si prevedono anche potenziali declassamenti del credito internazionale, un esodo dell’industria tecnologica, scioperi diffusi e controversie legali sul futuro della riforma.
I motivi in gioco sono tanti, ma quello cruciale è quello che Netanyahu teme di più. Gli analisti osservano infatti, che il rapporto di Netanyahu con i tribunali e i pubblici ministeri è diventato più controverso da quando è stato incriminato per corruzione nel 2019.