Primo piano

Le colpe della Storia | di Tito Tettamanti

Tucidide, vissuto nel 400 a.C. e autore de “La Guerra del Peloponneso” è considerato il capostipite degli storici. Coloro che ci assistono con le loro narrazioni cercando di farci comprendere quell’enorme, infinito e sempre incompleto ma strabiliante affresco rappresentante la Storia del mondo.Si rimane affascinati per i successi e progressi dell’ingegno umano e sconvolti per le crudeltà, l’abuso della forza, le umiliazioni dei deboli, una visione che trasuda la violenza di un Caravaggio.Per molti secoli la narrazione storica era volta prevalentemente all’ammirazione e ossequio del potere e del potente, degli atti di valore bellici magnificando i successi (e soprusi) della forza. Tucidide individua nella volontà di aumentare la propria potenza la base degli inevitabili conflitti.

Una commissione di studiosi incaricata alla fine del 1945 di individuare l’origine delle guerre ha concluso che l’unico vero elemento dirompente è l’aggressività degli umani. Nell’antichità i popoli perdenti venivano ridotti a schiavi, salvo i guerrieri superstiti, che venivano impalati o crocifissi vivi. Millenni barbari, vero, ma ancora lo scorso secolo milioni di ebrei sono stati messi a morte nei campi di sterminio.Siamo capaci di cose eccelse ma anche delle peggiori nefandezze. Dobbiamo a “L’École des Annales” (1920) un nuovo approccio metodologico con un racconto che approfondisse il ruolo delle classi popolari. La Storia non è costituita solo dalle battaglie, le lotte, le decisioni dei potenti, ma anche dagli umili, dai soggetti e dalle popolazioni condannate a vita e, senza speranza alcuna di progresso, anche per i discendenti,. I “laboratores” nella trilogia di Dumézil, a fianco ai “bellatores”, con il potere delle armi e agli “oratores” con il potere del sacerdozio e della cultura. Si sono messe in evidenza e studiate le pesanti ombre del potente affresco che descrive il mondo.Tra queste particolarmente incombente quella della schiavitù che ci ha accompagnato, sia pure con intensità diverse, nonostante il messaggio cristiano di uguaglianza, dalla notte dei tempi sino alla fine dell’800, e in certi Paesi africani, mediorientali e asiatici non del tutto scomparsa. La piaga della schiavitù ha segnato profondamente la Storia degli Stati Uniti.Venne abolita nel 1865 dopo una sanguinosa guerra di secessione, descritta ed abbellita quale lotta degli Stati del Nord contro la schiavitù, in effetti uno scontro dovuto ai divergenti interessi: un Nord manifatturiero che voleva imporre dazi alle importazioni per proteggere le proprie industrie, ed un Sud esportatore e interessato al libero scambio.Purtroppo alla schiavitù si sostituì la segregazione, con una serie di umiliazioni – nei trasporti pubblici, ristoranti, servizi igienici, altri spazi sociali – per gli afroamericani. Finalmente nel 1964, grazie anche alla battaglia di Martin Luther King, il Congresso americano vieta la segregazione durata un secolo.Nel decennio successivo si sviluppò una corrente di pensiero definita Affirmative Action, che reclama che ai discendenti degli schiavi e dei “segregati” di un tempo vengano concessi privilegi a compensazione degli svantaggi subiti. Nonostante la legge vieti ai datori di lavoro di fare preferenze nell’assunzione o promozione di collaboratori, la stessa, conseguentemente alla Affirmative Action, non dovrebbe venir osservata allorché si ha a che fare con postulanti afroamericani. E così spesso è stato, anzi tale atteggiamento viene considerato ragione di merito. Conseguentemente si sono imposte nuove regole nelle università dove a parità (e talvolta pure oltre) di qualità tra gli aspiranti allievi gli afroamericani venivano preferiti (a danno anche di quelli di origine asiatica).Il tema è nuovamente argomento di discussioni perché lo scorso mese la Corte Suprema degli USA ha dichiarato la pratica che favorisce gli afroamericani a scapito degli altri incostituzionale. Ineccepibile da un punto di vista giuridico.Le università sono chiamate a formare le “élites”, cioè i quadri dirigenziali del Paese. Ora non v’è chi non veda che privilegiando dei meno qualificati, a sfavore dei talenti, pur riconoscendo che le forze migliori del Paese non necessariamente sono il prodotto dello studio universitario che permette di accedere al sapere ma non vende intelligenza, non si fa l’interesse della società. Vi sono disuguaglianze che vanno combattute con forza, una quella che non permette a chi lo merita studi adeguati, per mancanza di mezzi, talvolta anche per la debolezza dell’educazione famigliare e, negli USA, di inadeguatissime scuole di quartiere. Ne ho avuto eco diretta da una mia figlia per vent’anni operante nel Bronx occupandosi di madri afroamericane alcolizzate o drogate. Parimenti disdicevole è la pratica di atenei di grande prestigio di favorire coloro le cui famiglie si raccomandano con munifiche donazioni. Né il colore della pelle né il denaro debbono essere il criterio che influisce sulla scelta. Non si può però pretendere di porre rimedio alle ingiustizie commettendone delle altre. Una delle importanti lotte, non solo negli USA, è quella contro il razzismo ed il modo peggiore per combatterlo è quello di creare altri razzismi in senso inverso. Sempre di razzismo si tratta.

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