Il pensiero del giorno

Il Municipio, i molinari e i poeti – Pensiero del giorno

Ho scelto questo testo, che ho ricevuto per mail, per evidenziare la divaricazione immensa, insuperabile, che sussiste tra gli estremi “politici” – ma potrei dire mentali – della nostra società.

La declamazione è ben scritta, dopo tutto sono dei letterati, e magniloquente; i toni sono esaltati oltre il limite del ragionevole. Ma corrispondono alla realtà o a una febbricitante fantasia? Che cosa direbbero le normali e poco considerate persone di buon senso?

Il Municipio deve governare la Città e non può farsi prendere a pesci in faccia dai molinari, anche se a loro il poeta Pusterla ha dedicato una meravigliosa poesia.

immagine Pixabay

La Casa della Letteratura per la Svizzera italiana ha assistito con sgomento e viva preoccupazione alla violenza di cui è stata vittima un’altra Casa della cultura, la comunità CSOA Il Molino di Lugano, demolita nel corso di un’operazione di polizia nella notte del 29 maggio.

Presso il Molino, sono nate o per molto anni si sono svolte molteplici manifestazioni culturali, letterarie, musicali, cinematografiche, politiche, di non secondaria importanza sulla scena luganese e svizzero-italiana (il Ticino Poetry Slam nel 2013/14; il Morel, il Fiaska, il Casotto e molte esperienze di teatro sperimentale). (…)

La sproporzione nell’uso della forza, il gesto di intolleranza e di spregio che l’hanno resa possibile, la violazione delle fondamentali norme etiche e democratiche: tutto questo e molto altro ancora non può che preoccupare gravemente chi ha sempre posto l’idea della coabitazione e della mediazione culturale al centro del proprio progetto.

Le ruspe che hanno abbattuto una parte del Molino hanno colpito, oltre a una comunità degna di rispetto, un simbolo importante, un’idea di cultura alternativa ventennale che merita ascolto, attenzione e accoglienza. La demolizione avvenuta con il favore delle tenebre, evidentemente orchestrata in segreto, è a sua volta un gesto, oltre che materiale, simbolico, il cui significato è profondamente inquietante.

Relatore

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  • Probabilmente troppo facile prendere ora la parola sul tema, soprattutto dopo i "molti" che già hanno espresso una propria opinione. Quindi troppo facile ricamare sul già detto. Mi astengo dal partecipare al tormentone. Per contro una semplice osservazione la voglio fare proprio sul ...già detto.

    C'è chi sfrutta la vertiginosa complessità del problema e offre risposte rapide a problemi difficili. Complessità vuol dire anche umiltà e precauzione, virtù di pochi, anche nel passato”. Ho letto da qualche parte.

    A parte la virtù “dei-pochi-del-passato", che suona un poco ...elitario, per il resto si potrebbe annuire. Tuttavia si dovrebbe anche saper distinguere la cosiddetta “complessità” dalle semplici chiacchiere.

    Se per alcuni “esperti di turno” (tele-radiofonici) ...l'inondarci - in questi giorni di luoghi comuni - di altrettante amenità - "è" - lo spiegare la complessità del tessuto urbano, c'è da stare (poco) sereni. Un esempio?

    La città dev’essere di tutti: giovani/vecchi, uomini/donne/bambini, benestanti e precari, ognuno deve trovare un suo spazio d'identità urbana, come pure un necessario sostegno alla propria dignità specifica, ciò che gli anglosassoni, con un termine puntuale, chiamano “inclusion”.

    Direi (evitando ogni complessità) trattarsi di semplici chiacchiere zeppe di ovvietà che pretendono di assumere il significato di riflessione colta.

    Forse e magari sarebbe assai più costruttivo (tuttavia molto più "complesso") riflettere - in un mondo di “indiscriminata” competizione sociale - su come tentare di affrontare i “discriminanti” conflitti presenti tra le diverse sensibilità esistenziali (anche) urbane. Vaste sujet.

    • …“insidieux sujet” ;-) … quello delle disparità. Il tema delle “inegualità” contempla probabilmente anche l’auto-segregazione, con la tanto discussa …autogggestione. Non uniformarsi, mobilizzarsi per isolarsi da quelli di cui non si condivide lo status. Non riguarda solo gli squatter.

      Un fenomeno piuttosto complesso proprio perché, come dicono (a torto oppure a ragione) i pessimisti: “viviamo in un mondo dove “l’unica misura” te la dà il denaro”. Se (la misura) è poi determinata, usata e imposta dalle differenze economiche, per esempio, si parla di vero e proprio “separatismo sociale coatto”. Resta tuttavia convinzione, assai radicata, che praticare l’autoesclusione sia faccenda per soli “proletari”, così da non dover assumere quanto, la segregazione territoriale, sia il risultato di tensioni tra contesti opposti.

      Anche perché la richiesta di “stare tra simili” viene, forse e soprattutto, dall’alto. Un “comunitarismo” che sgocciola dall’alto della gerarchia sociale. Come il famigerato trickle down. Zone “esclusive” che sono il fiore all’occhiello degli annunci immobiliari: appartamento “esclusivo” in quartiere …esclusivo. Exclusivus: che esclude.

      “(ANSA) – PARIGI, 15 APR – Identificare ed allontanare “sistematicamente” le famiglie rom che vivono e mendicano negli spazi pubblici del sesto arrondissement di Parigi, uno dei quartieri più chic della capitale: è quanto è scritto in una nota interna della polizia di zona che suscita polemiche e reazioni indignate. L’esistenza della nota è stata rivelata martedì dal quotidiano Le Parisien, e poi confermata dalla prefettura. Il documento “è violento e illegale”, ha commentato al giornale un funzionario di polizia. 15-04-2014 18:56”.

      Per cui si potrebbe perfino azzardare che qualsivoglia idea di vivere in ambiti “esclusivi” rimanga un chiaro tentativo di abolizione dell'eterogeneità sociale e la rinuncia della concezione civica di uno spazio comune. In parole semplici, vivere nel proprio brodo. Ancora più semplicemente: muri sociali. Un affare assai triste. Se ne parla poco: si svolge sottotraccia, sommerso. Lo si percepisce solo negli incresciosi intoppi. Oppure a giochi fatti. Cippirimerlo.

      Se pur “sociologicamente” parrebbe dato per scontato che la città debba (!) “sviluppare il senso della differenza e la conservazione delle diversità”, (concetto azzardato perché ambiguo) su un piano maggiormente pragmatico si potrebbe perfino essere contrari a tutte (dall’alto o dal basso) le richieste di “autogestionarsi” proprio per non assecondare l’indiscriminato concetto di (auto)esclusione, quindi il consolidarsi di insanabili recinti incentrati sull’appropriazione di ciò che dovrebbe appartenere (anche) alla collettività. Per evitare, infine, di essere additati quali promotori di qualsiasi forma di separatismo sociale e incrementare vere e proprie simmetrie di autogestione: forme alternative che diventano perfino …complementari. Fenomeno nient’affatto…urbano. Nel senso di poco civile.

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