Il celebre storico dell’arte, gallerista e critico Philippe Daverio morì a Milano all’età di 71 anni.
Ticinolive lo ricorda con una bella intervista di Chantal Fantuzzi, pubblicata il 16 aprile 2016.
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“Il Ticino è COME la Norvegia… ma ha le dimensioni di un quartiere di Milano”
Collecchio (PR), 16 aprile 2016. Philippe Daverio ha appena presenziato all’inaugurazione della mostra “Tra madre e terra” di Federica Rossi. L’intervista verte sull’arte svizzera, su Lugano Arte e Cultura, sul tema dei nuovi talenti, dell’eternità dell’arte e dell’ideale del bello.
Philippe Daverio Segantini è fortemente mistico, molto affezionato ai culti orientali, quelli indiani in particolare, come i testi misterici, per esempio, in voga in quel periodo. Segantini, piuttosto che credere nell’eternità, ha una visione ciclica. Crede nella ciclicità.
Come la ciclicità stoica, in seguito alla quale si ha periodicamente una conflagrazione?
PhD Non solo, anzi. Tutte le ciclicità coesistono e sono parallele tra loro.
Cosa pensa del LAC, Lugano Arte e Cultura, museo e teatro inaugurati nel 2015, fervente di mostre d’arte svizzera?
PhD Bellissima iniziativa. Bisogna rapportare poi l’impiego di un museo del genere al centro di una città come Lugano. Molti credono che il Ticino sia… la Norvegia. Il Ticino è come la Norvegia, ma ha la dimensione di un quartiere di Milano. Riuscire, per una cantone così piccolo, a investire su così tanti artisti è un’iniziativa geniale.
Riguardo al LAC di Lugano vi sono diverse mostre di arte contemporanea. Pensa che l’arte contemporanea sia un’esposizione per nuovi talenti o un esibizionismo di “visionari”?
PhD I talenti emergenti non sono individuati dalle istituzioni. L’istituzione non scopre i talenti, ma stabilisce dei valori condivisi all’unanimità. Valori che non sono universali, ma sono tali in quel determinato periodo. Le mostre pertanto non espongono nuovi talenti, ma artisti che la società già acclama, poiché questi aderiscono a quei valori prestabiliti di quell’epoca specifica. Sono due metodi diversi.
Nella contemporaneità si è persa l’idea del “bello”. L’ideale ottocentesco del ritrarre la physis, la natura, ancora più perfetta di come essa sia nella realtà, e di trasporla su tela nella sua forma più pura ed ideale, è scomparso. Pensa si possa ritornare ad un’idea e ad un’ideale del “bello” inteso come tale?
PhD La modernità lo ha abolito, certamente. Per quanto riguarda il rievocare la bellezza antica, ogni volta che ci si prova, si cade nella retorica. L’idea dell’antico, ogni tanto, torna. Ogni epoca deve essere capace di inventare il suo linguaggio. Il Picasso degli anni ’30 non prettamente apprezzato allora, è visto oggi come completamente armonioso. Certe opere del passato vengono apprezzate successivamente, poiché parlano alle epoche successive.
PhD Certamente. L’eternità dell’arte si realizza superando la contingenza. L’arte non è contingenza, ma è in essa che si realizza. Come Giotto, per esempio. Giotto fu troppo moderno, per i suoi contemporanei. Ma perché era più bravo. Giotto e Picasso sono uguali, per la capacità di esprimere le pulsioni interne.
I moti d’animo leonardeschi, che nella pittura del rinascimento poi si perderanno?
PhD Nel rinascimento se ne avranno poi altri. Diciamo piuttosto la capacità dell’introspezione, e del rendere l’interiorità dei personaggi. E Giotto, in questo, fu maestro.
“Credette Cimabue ne la pintura…”
PhD Esattamente, come diceva l’Aligherio.
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Ripeto la battuta che mi è sorta spontnea nel commento alla condivisione " Per un siciliano, si può immaginarla anche più a nord.......