Una serie tv immancabilmente targata Netflix inclusiva su tutti i punti della modernità, o quasi.
La produttrice Shonda Rhimes ha da sempre messo le mani avanti dichiarando che la serie, ora arrivata alla seconda stagione, tratta dai romanzi della Quinn, sia un’ucronia, peccato che i riferimenti storici a Re Giorgio IV (il re pazzo), nonché le date dei balli (estate 1814), la rendano una produzione che, da un lato, cerca di scimmiottare i period drama, dall’altro vuole rendersi pop. E ci riesce benissimo, perché, nonostante tutto, la piacevolezza della narrazione supera l’irritazione per le (decisamente) troppe inesattezze filologiche. Solo per elencarne alcune: balza all’occhio l’eccessiva presenza di nativi africani a corte (la regina compresa!), in un’epoca che – purtroppo – vedeva gli stessi soltanto come schiavi, ancora, le suonatrici donne, oppure i suonatori di origini africane e con la barba o, ancora, i costumi: sette, otto e novecento mischiati allegramente, con paillettes e fiori finti, presi dai cinesi alla stazione.
In una realtà multiculturale è opportuno che una produzione si estenda al grande pubblico, cosicché tutti possano specchiarsi nei personaggi che, una serie tv di massa offre, tuttavia è bene notare che mancano, allora, importanti tematiche.
L’animalismo, per esempio: troppi i riferimenti a scene di caccia, a cavalli abbattuti, o le immagini di cuccioli di maiali arrostiti, senza che nessun personaggio si dichiari mai contro, in unome di una visione etica, moderna e realmente inclusiva. Ma, forse, è più facile costruire scene di nobili multietnici, ozianti su arredamenti immacolati, con stucchevoli gioielli finti, piuttosto che introdurre temi veramente etici.
Eppure, Bridgerton conquista, nonostante talune lentezze sceniche e inesattezze (sia storiche che narrative), perché la costruzione è piacevole, i personaggi sono ben delineati, gli attori belli e bravi.
Soprattutto, per la (prima?) volta, porta in scena una relazione lungi dall’essere rosa e fiori, bensì fatta di schermaglie e dissidi, tema insolito, ma accattivante che, forse, può dire tanto sul fallimento di molte relazioni oggidì.
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