Siamo all’85esimo giorno della guerra in Ucraina: i combattenti dell’acciaieria Azovstal si sono arresi, ma negli stabilimenti sono rimasti ancora i comandanti e un manipolo di irriducibili. Nel frattempo, i russi avanzano (lentamente) nel Donbass. Il presidente ucraino Zelensky annuncia: «Riprenderemo il controllo dei territori e delle città occupate» dichiarando che le voci sull’uso di armi laser da parte dell’esercito di Mosca non sono che “la prova che stanno esaurendo i missili, è la dimostrazione del fallimento dell’operazione militare”.
Uno Zelensky irriducibile, deciso a guerreggiare fino all’ultimo, deciso a provocare la Russia, nonostante Putin abbia ampiamente dimostrato quel che è capace di fare. Nonostante ciò, ieri Finlandia e Svezia hanno chiesto ufficialmente l’ingresso nella Nato: continuano le provocazioni all’ultimo tiranno zarista che, intanto ha deciso di espellere 24 diplomatici italiani, 34 diplomatici francesi e 27 spagnoli; le provocazioni ono sobillate anche dall’imperialismo degli Stati Uniti i quali, intanto, hanno riaperto l’ambasciata a Kiev.
Anche l’Europa persiste nella ferrea volontà di opporsi alla pace e il cancelliere tedesco Olaf Scholz nel corso del suo intervento al Bundestag ha dichiarato che “Putin non può imporre un pace sotto forma di diktat”.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan continua a porsi come mediatore, perseguendo la strada della «diplomazia telefonica» tra mosca e Kiev, e dichiara: “non ho intenzione di tagliare i legami né con Putin né con Zelensky”
In Italia, nel frattempo, Salvini si oppone al presidente del Consiglio, Mario Draghi, che poco prima aveva annunciato la volontà di continuare il sostegno, anche militare, all’Ucraina e, come il Movimento 5 Stelle di Conte, si dichiara contrario all’invio di armi in Ucraina. Infine ringrazia Draghi «per le parole di pace, sia a Washington che oggi in aula — condivise da tutti, spero».