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Popper il COVID – di Tito Tettamanti

Sembrerebbe che ce la stiamo cavando. Il COVID sarebbe passato nell’ambito delle numerosissime patologie dalle quali l’umanità deve quotidianamente difendersi ma non più una devastante pandemia. Così stando le cose, pure se concentrati sulla tragedia ucraina, non possiamo dimenticare che è tempo di consuntivi, anche per trarre vantaggio in futuro dall’esperienza. L’analisi e le critiche sono compito delle autorità politiche e della società  civile, io mi limito – mancando di informazioni complete – a qualche osservazione. Sarei per un’assoluzione generale nonostante diverse sbavature, viste le difficoltà. Medaglia d’oro comunque alla scienza che nel giro di mesi non di molti anni ha prodotto il vaccino. La struttura sanitaria svizzera in generale ha resistito e ringraziamo quelli che erano in prima linea. La burocrazia federale con funzionari disciplinati, con i propri tempi, cautele e controlli non è certo adatta ad affrontare l’emergenza per la quale ci vuole capacità di rischio, istantaneità di reazioni, velocità  di esecuzione e creatività  per le soluzioni. Vero anche che una simile burocrazia in tempi normali sarebbe temibile e pericolosa. Nella Confederazione vi sono 110 Commissioni federali, diverse di dubbia utilità, e fra queste vi è quella per la preparazione e la risposta alle pandemie (CFP) incaricata di preparare e gestire tali emergenze. Bizzarramente non è  stata chiamata a contributo dall’Ufficio federale della sanità (UFSP) perché non considerata idonea. Ma allora perché nominarla? Nell’epoca dei computer sempre 1’UFSP raccoglieva i dati in arrivo dai Cantoni sull’antico fax. Le cifre talvolta non coincidevano, ci sono stati casi di dati pubblicati esagerati per eccesso. Forse per spaventarci o renderci più disciplinati? Ci hanno informati all’inizio che la mascherina era inutile (Koch) per poi dichiararla indispensabile. I giornali della Svizzera tedesca sono una miniera di casi che mettono in evidenza le criticità  e sulle stesse è stato recentemente pubblicato un  libro. Opportuno concentrarsi sull’approfondimento delle maggiori dissonanze verificatesi. Rimane purtroppo una pagina nera per il giornalismo e per la democrazia, l’accordo scellerato tra il Consigliere federale Berset e suoi collaboratori e l’editore Ringier: informazioni privilegiate e di prima mano contro sostegno acritico dei giornali dell’editore. Per l’economia pare che la ripresa sarà superiore alle attese, anche nei settori più penalizzati, e certamente l’intelligente ed immediato sostegno del Dipartimento delle Finanze (copiatoci da altri Stati) ha evitato danni maggiori. Interrogativi sul telelavoro a domicilio, vedremo quanto muteranno i costumi con conseguente impatto sull’occupazione di stabili d’ufficio ed eventuali modifiche nell’edilizia abitativa, con possibili decentramenti residenziali. Ciò che deve preoccupare maggiormente per sono le lacerazioni, i condizionamenti, le conseguenze che lasceranno tracce nelle libertà della società civile. Ci siamo (purtroppo) abituati a salutarci con ridicole gomitate che rammentavano i nostri antenati dell’epoca del Pleistocene, ci hanno obbligato a coprire la faccia con una fastidiosa mascherina che nasconde parte del viso rendendoci impossibile di vedere il sorriso o comunque l’espressione completa del nostro interlocutore, e abituandoci a nascondere la nostra. Il potere (Governo) ci ha detto dove potevamo andare o no, che non potevamo visitare dei familiari, quando si poteva uscire per far compere, quali negozi potevano rimanere aperti, impedito la frequentazione di ristoranti e bar, se potevamo o meno assistere a spettacoli, invitare amici in casa, quali sport erano praticabili e a quali si poteva assistere, con criteri talvolta discutibili.  Vi sono stati eccessi di insensibilità  inaccettabili ad esempio nell’ambito dell esequie dei defunti. Hanno chiuso gli uffici imponendo il telelavoro, vantaggioso tecnologicamente, disastroso se sostituisce la colleganza con la solitudine. La tendenza dei governi (anche per convenienza e inclinazione al controllo)  quella di proteggerci da ogni rischio, pur sapendo che  è un’illusione. Una pandemia è  l’occasione ideale per ottenere d allargare le proprie competenze contando di non trovare opposizione. Ad ogni protezione di rischio corrisponde un piccola perdita di libertà, una recessione di quella che Popper ha definito “società aperta”, costituita da individui in grado di prendere decisioni personali, coscienti e maturi nella gestione del proprio destino. Purtroppo, proprio il progresso ottenuto con la società aperta   è quello che ha maggiormente sofferto. Il COVID ci lascerà in eredità  pericolose psicosi, un residuo di persone che giudicano di voler continuare a portare la mascherina, vale a dire mantenere la distanza dall’altro, considerato portatore di germi, e ciò non farà che minare i rapporti di fiducia tra di noi, svalutare la socializzazione, non tornare al simbolico gesto della stretta di mano che pur distrattamente era espressione di fiducia. Sì, dobbiamo convivere con il COVID, come conviviamo anche con l’influenza, che causa in Svizzera da 1.000 a 5.000 ricoveri all’anno e mediamente 400 decessi, evitando paure isteriche. È bene ricordare che pandemie e simili non vengono debellate con la riduzione (impostaci dal potere politico) della libertà, con il confinamento e la sorveglianza dei nostri comportamenti, ma con il progresso della scienza figlia della libertà di ricerca e madre del progresso.

Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata

MK

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