Primo piano

Tre polli per due | L’amico degli emigranti italofoni

«Servire il popolo è una grande forza creatrice!» Di primo acchito potremmo pensare che il «Servire» di Gottlieb Duttweiler fosse inteso in senso di servizio sottomissivo. Nulla di più sbagliato. «La necessità stuzzica l’ingegno» sarebbe la corretta traduzione del pensiero Duttweileriano esposto in quell’assioma; ovvero capire le necessità della gente comune e proporre soluzioni che portino benessere comune.

Zurigo, 1930 (Wiki Commons)

1931 – Non c’era un chiodo da battere in Ticino. Qui lasciavano i vécc a curare pollai e rifugi per conigli (..in compagnia di qualche légora da técc che in primis cacciava campagnoli ed in secundis serviva per allungare il brodo in periodi di particolare magra), ùl campett da carlòn, un cespuglio di cicoria per fare il caffè.

Tutte le braccia utili, anche quelle dei bambini, camminavano (il treno spesso era un lusso) nell’unica salvezza allora credibile: Zurigo. Parliamo di padri, fratelli in marcia con bambini dai cinque anni in su (età minima per svolgere un qualsiasi lavoro).

Il quadro è di una Zurigo “salvagente” sì, ma dove i nostri leggevano inviti affissi nei ristoranti a restar fuori assieme ai cani ed altri indesiderabili, dove le grandi macchine da cantiere – mostri mossi dal vapore – erano protette da transenne con scritto in tedesco e francese “nessun lavoro qui, non ti fermare” ed il ghetto ticinese era tra il quartiere a luci rosse e quello italiano, con ritrovo comune il Bar Lugano, tutt’ora esistente.

Fu in questo contesto che Duttweiler conquistò i cuori degli esuli ticinesi con l’offerta citata in titolo: tre polli al prezzo di due. Il vantaggio era considerevole: niente celle frigorifere, maggiore volume di vendite, merce sempre fresca e continua variazione dell’inventario. Per l’esule ticinese era abbastanza da sfamare due operai e qualche bagaì appresso. La fama di Gottlieb e delle sue “azioni” nelle “reclam” si espanse nella cultura italofona a tal punto da avere la prima cooperativa Migros proprio in Ticino, già nel 1933.

 Piccola cosa ad essere sinceri, ma sufficiente ad espandere il mito di quella idea, di quella persona mossa da alti ideali a sud delle alpi: persona che era vicina alle esigenze dei più disastrati tra tutti i confederati. Duttweiler aveva buone ragioni per interessarsi alla causa ticinese: prima di tutto la passione comune per il caffè, maturata nella sua esperienza nel Sud America, la simpatia per le culture latine che ebbe modo di frequentare nella suo tentativo di divenire un esportatore della poco sopra citata bevanda, la vicinanza del Ticino ai porti mediterranei e tra le altre alla produzione di riso della vicina Lombardia.

L’amore per la cultura latina portò tra l’altro ad una vacanza ad inizio anni ‘40 sul Generoso, da cui tornò nel suo borgo sulla Limmat con… una ferrovia, a cui dedicò un dolce per omaggiare la cosa.  Si convinse della bontà dell’acquisto dopo aver parlato con il macchinista della locomotiva, che tra una palata di carbone, un bicchiere di novello ed un’ingrassata alle bielle, spiegò a Mr. Migros le difficoltà di una ferrovia di montagna a vocazione turistica. La decisione venne comunicata direttamente al contabile, il quale non comprese subito cosa si volesse intendere per “pagare una ferrovia in Ticino”.

Fu proprio in questo spirito, ovvero di un buon caffè e pure economico tra esuli italofoni, che la complicità tra ticinesi e Duttweiler raggiunse apici mai visti prima. Un giorno assoldò un imbianchino ticinese, abitué della caffetteria antistante i suoi uffici, per scorrazzarlo nelle vie della città e trovare una buona auto da acquistare. Passate le concessionarie delle marche più blasonate dell’epoca – adatte ad un imprenditore di rilievo come l’uomo del ponte –   alla fine Duttweiler apprese dall’imbianchino ticinese – un malcantonese di Caslano – l’amore per i parcheggi selvaggi sui marciapiedi di Zurigo e, scoraggiato dalle barche costose e scomode da parcheggiare ovunque (..come appena appreso) alla fine optò per l’acquisto oculato della vecchia topolino ampiamente testata durante la giornata, che non mollò mai più.

La fama di questo amico dei ticinesi scavalcò i confini nazionali e si trasformò nel ‘44-45 nella speranza di tante persone della vicina Repubblica Sociale Italiana che, sentito della leggenda di questo nuovo negozio “con i cestini”, gestito da una “persona di cuore” in Zurigo scapparono quali profughi da un territorio raso al suolo da bombe e guerra per riempire scaffali e servire caffè nella caffetteria di tale “supermarket”.

Doccia di DDT, autoclave, 50 centesimi per una cioccolata calda ed un biglietto di benvenuto in Svizzera – il trattamento subito da questi profughi per vedere le vetrine della Bahnhofstrasse partendo dalle macerie di Milano.

Duttweiler riuscì ad impiegarne un discreto numero, in quello che potrebbe essere descritto come uno dei primi programmi occupazionali per persone fuggite da un paese scosso da una guerra civile sorta in seno ad un conflitto.

M. P. Taiana

Relatore

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