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La burocrazia durante il virus – di Tito Tettamanti

immagine Pixabay

Le burocrazie hanno l’ossessione del rischio, vorrebbero con le regole proteggerne la società. Sono pure impreparate per l’emergenza che proprio per sua natura non può venir regolata prima di ogni e sempre diversa apparizione. Questi aspetti del rapporto con il rischio e con l’emergenza sono stati massicciamente evidenziati durante l’evoluzione della pandemia (COVID-19). Due delle più potenti amministrazioni statali sono quella tedesca e quella francese e sono tra le più criticate per l’insuccesso nell’affrontare la COVID-19. Esempi pratici meglio di tutto ci fanno capire il perché dei fallimenti. In Germania per una vaccinazione privata si esige la presenza di un farmacista che riempia la siringa, di un’infermiera che fa l’inoculazione, di un dottore che spiega la procedura al paziente e di tre impiegati della Croce Rossa per riempire tutti i formulari, si parla di otto fogli A4 per ognuno che il dottore deve poi timbrare e firmare. A proposito della Germania, leggo che è permesso leggere all’aperto in zone COVID-19, rimanendo in piedi, ma è vietato sedersi. La centralizzazione burocratica francese fa sì che il 35% degli effettivi del personale medico e paramedico è costituito da tecnici e persone operanti nel servizio amministrativo, il 20% dei medici è destinato a tempo pieno ad attività amministrative, ma anche i medici curanti passano il loro tempo riempiendo scartoffie. Conseguenza di questo spirito: in Germania è vaccinato ad inizio aprile solo il 12,57% della popolazione, in Francia il 13,73% per contro in Inghilterra il 46,58%, negli USA il 32,38% ed in Israele il 61.03%.

foto Ticinolive

Boris Johnson ha telefonato alla signora Kate Bingham, che ha studiato biochimica, ma ormai da qualche decennio è professionalmente attiva quale «venture-capitalist» nell’ambito della scienza medica. La signora Bingham con alta competenza nella valutazione del rischio e con una rete estesissima di contatti nel settore sanitario mondiale, in poco tempo ha organizzato quello che si è rivelato il successo inglese. L’uomo di Stato – con tutti i possibili difetti – si distingue dal burocrate per la capacità di mettersi in gioco.

Trump – uomo d’affari discusso – ha affrontato il problema, dopo i primi errori di giudizio da fanfarone, parlando la lingua del mondo degli affari, ha messo a disposizione miliardi per la ricerca, sollevato da responsabilità per le conseguenze i produttori: un terzo degli americani sono vaccinati e negli USA si è ripreso a vivere e lavorare. Israele: i migliori, ma chi meglio dei figli di quel popolo dalla storia tormentata da pogrom conosce l’emergenza che ha ormai nel DNA? E la Svizzera? Non stiamo facendo bella figura (37. in classifica), anche perché la nostra burocrazia di persone perbene non ha sicuramente il senso dell’urgenza, vive nel timore dell’errore e conseguenti responsabilità.

Agli inizi del 2020 l’UFSP (Ufficio federale della sanità pubblica) si rende conto di non aver nessuno con esperienza e relazioni nel settore per l’individuazione e le trattative per futuri vaccini. Messisi alla ricerca mesi dopo, ad aprile, si identifica la persona in Andrin Oswald, già capo del settore vaccini della Novartis. Tempi svizzeri: mesi di comitati, in Inghilterra un telefono del primo ministro. La nostra stampa è inondata di critiche sulla gestione della COVID e si ipotizza pure una commissione parlamentare d’inchiesta. Mi limito a parlare delle responsabilità del Consigliere federale Berset, rientrando la lotta alla COVID nelle sue competenze: – Non si è reso conto che i dirigenti del suo Dipartimento, specie quelli dell’Ufficio federale della sanità pubblica UFSP, non erano in grado di affrontare l’emergenza, che andava affidata in mani adatte nominate ad hoc.

– L’acquisto dei vaccini è stato eseguito con la prudenza e la parsimonia della nostra amministrazione totalmente inadeguate per la circostanza. Conseguenza: numero di vaccini insufficiente e in ritardo, acquistati con accordi da dilettanti. Inoltre, 740mila coronatest (14 milioni di franchi) inutilizzabili perché acquistati senza badare alla data di scadenza.

– Non ha degnato d’attenzione l’offerta Lonza per una catena di produzione in comune di principi attivi per il vaccino a Visp, poteva aprire strade diverse, metterci in contatto con Moderna, darci dei vantaggi. Ci si è spaventati dinanzi ad un investimento dell’ordine di 60 milioni di franchi, mentre la COVID ci costa 70 miliardi.

– Sapendo che il vaccino sarebbe arrivato, l’organizzazione per la somministrazione (che in alcuni cantoni è stata un disastro) poteva già venir messa a punto nell’autunno scorso. Si sono persi mesi preziosi.

Come mai una persona intelligente come Berset ha commesso o tollerato simili errori? Potrebbe aver influito il fatto che è arrivato trentenne ad alte cariche di politico di professione e le sue esperienze precedenti di lavoro non gli hanno permesso di conoscere il mondo dell’economia privata. Ormai da nove anni alla testa dello stesso Dipartimento (DFI) può aver giocato un ruolo il torpore della routine.

Ci spiace per lui, ancor più per la reputazione della Svizzera, ma spiace particolarmente per le conseguenze patologiche ed economiche sofferte dagli svizzeri.

Tito Tettamanti

Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata

Relatore

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