di Cristina T. Chiochia
La “giusta fama” delle donne: Plautilla Bricci e le nuove parole dell’architettura in Italia
Ci sono donne che lasciano il segno. Si. Un segno nella storia umana. Mentre altre vi si immergono solamente, come tante altre e tanti altri, fino a divenirne parte senza un nome ed un cognome. Spesso la “giusta fama” non è riconosciuta alle donne, in primis in quanto tali, in secundis quando dispongono di una professione, rese ancora più invisibili dagli uomini “fanno” la storia. E’ questo quello che è successo per secoli a Pautilla Bricci. Una “pictora e architectora” del 1600 romano, in Italia.
Riscoperta negli ultimi anni in modo crescente e che deve la sua fortuna ad importanti ritrovamenti e testimonianze scientifiche recenti (in particolare si segnalano le ricerche della Prof. Consuelo Lollobrigida),che l’hanno resa protagonista di libri, saggi , articoli, presenza in mostre (e relativi cataloghi) e romanzi aggiungendo così anche qualche curiosità in più sulla sua vita e che non a caso viene riscoperta in Italia proprio ora, nazione in un continuo fermento “architettonico” tra rigenerazione urbana, riqualificazione e recupero del patrimonio immobiliare oltre che utilizzo degli spazi abbandonati nelle grandi città, si pensi in particolare al caso di Milano.
Nata nel 1616 nella Roma papale, come è facile scoprire da una veloce ricerca su internet, questa donna che definiva se stessa “architettrice”, fu figlia di un pittore e “menante” (ovvero giornalista pubblicista del tempo) che si dilettava anche in musica e scrittura, tale Giovanni Briccio e che la introdusse, insieme al fratello, alla sua futura carriera appunto di pittrice ma, soprattutto, architetta. La prima architetta italiana (e forse non solo) di cui si ha notizia in quell’epoca, insomma. E che osò sfidare linee e nuove forme nel mondo delle costruzioni e dei cantieri papalini.
Talento e studi che si rincorrono ma che creano, come un mosaico, la storia di questa donna per molti anni, per tracciarne il talento, di cui ancora si conosce poco , ma con una crescente curiosità: sia personale che del suo lavoro. Perchè le donne architette esistono. E da tempi insospettati. La storia ha cercato di “dimenticare” la prima di esse. Ma c’è, esiste. E voleva solo essere riscoperta e raccontata, nel suo lavoro “pubblico” e nel suo privato, anche se solo immaginario.

C’è riuscita come si diceva, la dottoressa Consuelo Lollobrigida con Plautilla Bricci. Pictura et Architectura Celebris. L’Architettrice del Barocco Romano, edito da Gangemi, 2017 che la descrive come una donna di talento nella Roma Barocca ma che è prettamente maschile. Una Roma descritta sotto il dominio del Papa Urbano VIII (che forse, però, è un po’ differente da come viene spesso descritto) in continuo fermento e cantiere a cielo aperto. Una donna di valore, Plautilla Bricci, che ha la fortuna di condividere “in famiglia” la sua formazione intellettuale e che in questa prima monografia a lei dedicata , viene descritta come una donna che di fatto ha abitato la storia e ne ha fatto parte in prima linea e ne meriterebbe, quindi, tutti gli onori “pubblici”.

Ma è con il romanzo di Melania G. Mazzucco dal suggestivo titolo di L’architettrice, e niente più, che il “caso Palutilla” esplode in Italia e continua tuttora. Edito da Einaudi ed uscito nel 2019 il libro entra nella storia di questa donna unica del seicento italiano, invitando il lettore ad affezionarsi a lei ma in modo quasi “privato”, intimo. Il libro è stato vincitore di molti premi, tra cui del premio Stresa 2020 per la sezione narrativa, ha anche vinto il premio Giuseppe Dessi 2020 sempre per la stessa sezione, oltre che finalista ad altri premi letterari tra cui il Premio Corrado Alvaro e Premio Letterario per la donna scrittrice 2020 (premio Rapallo).
Una storia immaginata per incantare il lettore, quella della Mazzucco, che si apre su un assolato maggio 1624 ed arriva a ritrarre una donna appassionata e curiosa della vita e delle sue forme (suggestivo infatti che si apra proprio con questa immagine della balena, creatura “chimerica”, arenata sulla spiaggia di Santa Severa). Plautilla donna ed architettrice quando «tirar su una casa. Scegliere le tegole del tetto e il mattonato del pavimento. Immaginare facciate, logge, scale, prospettive, giardini. Per quanto ne sapevo, una donna non l’aveva mai fatto». Perchè come recita la presentazione del libro: “Melania Mazzucco torna al romanzo storico, alla passione per l’arte e i suoi interpreti.
Mentre racconta fasti, intrighi, violenze e miserie della Roma dei papi, e il fervore di un secolo insieme bigotto e libertino, ci regala il ritratto di una straordinaria donna del Seicento, abilissima a non far parlare di sé e a celare audacia e sogni per poter realizzare l’impresa in grado di riscattare una vita intera: la costruzione di una originale villa di delizie sul colle che domina Roma, disegnata, progettata ed eseguita da lei, Plautilla, la prima architettrice della storia moderna”. Quasi per avere un rapporto privilegiato con dei personaggi e non con dei dati storici.
Ma oltre il dato letterario, cosa resta della storia di Plautilla come donna “architetta” e che insegnamento si può trarre dalla sua storia “barocca” ? Quando Roma era un grande cantiere a cielo aperto, per l’Italia di oggi , nuovamente in fermento edilizio (basti pensare a città come Milano che, come abbiamo già scritto in un precedente articolo, sta rimodulando i propri spazi periferici ferroviari) cercando di delinearne anche individui e nuovo senso di comunità che ci vivranno? Complice la pandemia a “2050-ARchiFEst” , il progetto per “abitare il mondo altrimenti” del Comune di Colle Val d’Elsa per il Festival dell’Architettura della Direzione Generale Creatività Contemporanea del MiBact e tenutosi dal 24 Settembre al 4 Ottobre 2020, è proprio l’ intervento di Consuelo Lollobrigida , in collegamento esterno a causa della Pandemia su Plautilla Bricci, presentata come “un’architettrice” appunto “di talento” nella Roma Barocca a segnarne un po’ la strada: la giusta fama della Bricci tra i suoi contemporanei si basava appunto sull’avere un grande talento.
Nell’aver ideato architetture complesse ma con un significato profondo e molteplice di rigenerazione urbana, basti pensare al suo capolavoro, ora quasi totalmente distrutto, la “Villa del Vascello” che deve appunto il suo nome per la forma particolare che la faceva somigliare appunto ad un vascello e commisionato ai fratelli Bricci dall’abate Elpidio Benedetti. E se è vero che la rigenerazione urbana, termine stra-abusato in Italia in questo periodo deve ripensare e coinvolgere tutti gli ecosistemi di riferimento (comunità locali, istituzioni per esempio), non bisogna mai perdere di vista il miglioramento della qualità della vita e dei diritti di ogni singola persona.
E forse, basta vedere i resti della Villa del Vascello in via San Pancrazio a Roma per rendersi conto che è la genialità umana e il talento, maschile o femminile che sa, a fare sempre la differenza. Il talento, l’unica parola “nuova” che dovrebbe dare, “la giusta fama” e senso, al sapere delle nuove architetture urbanistiche di rigenerazione in Italia.