All’articolo premettiamo una nota personale. Questa sera verso le 18.30 arrivavamo alla stazione in bus da Loreto. C’era un robusto distaccamento di polizia che circondava un gruppo di manifestanti assiepati dietro un unico striscione. Slogan ritmati venivano scanditi.
Abbiamo scattato una fotografia. Poi ci siamo diretti verso casa.
Nella votazione anti-burqa il Sì Politicamente Scorretto ha vinto, e non è stata una vittoria facile. Penoso il giorno dopo leggere/ascoltare il 90% dei media, in particolare quelli di Stato: sembrava che una catastrofe apocalittica avesse colpito il nostro amato Paese. Noi chiediamo (ma non saremo ascoltati) misura nel manifestare dolore e sdegno, e misura nell’infliggere il lavaggio del cervello.
Si può anche (per una volta, o anche due) votare diverso da Gössi e Keller-Sutter.
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L’iniziativa, conosciuta da tutti “anti-burqa” è stata accolta dalle urne elvetiche: la proposta di introdurre nella Costituzione il divieto di dissimulare il volto ha raccolto il 51,2% dei consensi e l’adesione di 20 dei 26 cantoni. Il Ticino, che nel 2013 aveva fatto da apripista accogliendo un’analoga normativa cantonale, l’ha approvata con il 60,5% (!). Sul fronte dei contrari si sono schierati i Grigioni (49,6% di sì). Chi taccia la Svizzera di essere razzista, deve sapere che non è una mosca bianca: anche Francia, Belgio, Austria, Bulgaria e Danimarca hanno vietato l’uso in pubblico di burqa e niqab, considerato un simbolo dell’islam politico e della sua volontà di proselitismo, nonché l’espressione di un’inaccettabile sottomissione della donna.
Per il governo e il parlamento Elvetico, lo ricordo, questo testo era eccessivo. C’è chi non lo ha capito e invece di esprimere il proprio dissenso in maniera pacifica ha pensato bene di utilizzare la stazione di Lugano come un ring. Gli scontri con la polizia non si sono fatti attendere.
Mi chiedo come mai tra questi facinorosi c’erano anche minorenni: i genitori dove sono? Dov’è la guida che può spiegare a questi pargoli l’agire democratico? Poteva scapparci il morto visto che i manifestanti, molti del Molino (e qui dobbiamo assolutamente sgomberarlo!), hanno pensato bene di spostarsi pericolosamente sul Binario uno. Un plauso alle forze dell’ordine che hanno saputo tenere testa a questo manipolo di gioventù bruciata ticinese.
Maruska Ortelli, candidata uscente al CC Lugano, Lega dei Ticinese
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Parafrasando un famoso romanzo si potrebbe dire che ...ogni città è infelice a suo modo. Uno studio anglosassone ha dimostrato, con chiara evidenza, che il deterioramento del tessuto sociale urbano è avvenuto soprattutto in specifici ambiti popolari. Per contro, nei contesti privilegiati, i cambiamenti risultano impercettibili, quasi che il fenomeno non riguardi tale segmento di popolazione: la “famosa” fuga delle élite privilegiate dai guai comuni.
Inoltre la precarietà non è una novità, la novità sta nel fatto che che ormai tale condizione si è installata anche in contesti sociali che hanno cercato prima d’ora di contrastarla: esemplari le inimmaginabili file per un pasto caldo e la “giuridica” quindi formale e preventiva accettazione dell’accattonaggio sulla pubblica via. Perfino le (nostre/nostrane) città cesseranno di essere luogo di condivisione sociale: ognuno nei propri quartieri, nelle proprie comunità, con i propri simili, immersi nel proprio status. La società si strutturerà su un concetto di escludente endogamia. Come già avviene nelle grande metropoli. Si costruiranno impenetrabili “muri” sociali: piramidi di reddito. Il mantenimento dell’ordine pubblico, in ambito urbano-popolare, diverrà molto probabilmente una delle voci più ricorrenti del …divenire. Siamo entrati nel futuro dell'infelicità/felicità a misura di ...quartiere.
" (...) Mi chiedo come mai tra questi facinorosi c’erano anche minorenni: i genitori dove sono? Dov’è la guida che può spiegare a questi pargoli l’agire democratico?(...) cit.
Vi sono temi che hanno la potenza e la pericolosità simili a a quelle di un ordigno nucleare. Poniamo uno dei temi della manifestazione alla stazione ffs: il tema del “razzismo”.
La qualità e la precauzione riservate al loro trattamento, in trasmissioni radio televisive, tanto per iniziare, le si potrebbero già immediatamente definire dal criterio di scelta degli invitati, ovvero dal loro indispensabile e necessario, quindi indiscutibile grado di conoscenza dei delicati aspetti di un tema a così alto potenziale, così come anche dalla loro capacità di sapersi esprimere con pedagogica chiarezza e, soprattutto, con garante professionalità. Spesso non ci siamo: la competenza manifestata è inversamente proporzionale a una evidente dose di militanza.
Ora salta fuori che i termini quali razzismo, xenofobia, discriminazione, separatismo, multiculturalismo, cosmopolitismo, etnocentrismo, tribalismo, identità culturale, risultano sovente snaturati proprio perché sciolti in una brodaglia servita senza le fondamentali distinzioni del loro specifico - seppur contiguo - significato, ciò che porta perfino al rischio di alimentare equivoci devastanti.
Inoltre a tutto ciò si aggiunge l’ autocompiacente abitudine degli animatori di voler sfoggiare una vera o presunta competenza che li porta a introdurre le questioni con chilometriche premesse, spesso così tanto unilaterali, da lasciare poco spazio interpretativo all’interrogato di turno. Infine la pressante richiesta “compensatoria” fatta agli ascoltatori di porre domande via “social”. Presumo trattarsi di centinaia di richieste che rimangono tuttavia inevase, se non per le tre o quattro sporadiche “passate” distrattamente ai microfoni e perfino di tendenza.
Alla fine trapela poca chiarezza, poca riflessione, nessun vero approfondimento che permetta, a chi ascolta, di ampliare quei basilari concetti che lo possano anche condurre ad interrogarsi sulla solidità delle proprie convinzioni: quindi potersi aprire a un utile percorso di riflessione costruttiva. Anzi, spesso ti arriva solo la conferma di navigare nel …buio delle opinioni.