foto Wiki commons, Palazzo Chigi (jimmyweee) -https://creativecommons.org/licenses/by/2.0/deed.en

Sull’accordo con l’Italia sulla fiscalità dei frontalieri abbiamo ricevuto varie prese di posizione e numerosi commenti. Sul tema, pur importante, saremo minimalisti e ci limiteremo a formulare quelle che a noi sembrano le osservazioni essenziali.

L’accordo è deludente e svantaggioso. È chiaro che, dopo infinite lungaggini, la Svizzera voleva firmarlo a ogni costo ma, per ottenere l’agognata firma, doveva cedere ampiamente alle pretese italiane.

Per incominciare, il 2034 appare sideralmente lontano, considerando la rapidità di evoluzione dell’economia e della politica. Fino a quella data il Ticino verserà i ristorni al 40% e addirittura, come ha spiegato un esperto, incasserà di meno.

Inoltre, i “vecchi” frontalieri (antecedenti al 1° gennaio 2023) continueranno all’infinito a godere del vecchio privilegiato regime, ciò che frenerà nettamente l’effetto “anti-dumping” dell’accordo. Nei prossimi anni quanti saranno i “vecchi” frontalieri, quanti saranno i “nuovi”? L’Italia ha preteso e ottenuto tempi lunghissimi; la Svizzera, obbligata per ragioni di prestigio politico interno a “portare a casa” qualcosa, ha ceduto.

Comprensibilmente ci si è sforzati di presentare l’accordo in un’ottica positiva, l’immagine bisogna pur salvarla. Ma il professor Marco Bernasconi della SUPSI, notissimo esperto di fiscalità, non  ha fatto troppi complimenti e ha criticato l’accordo con argomenti abbastanza spietati.

Stranamente (ma ben venga!) la RSI lo ha lasciato parlare a lungo.